Gruppi recenti

 
Avere molti progetti musicali non significa nutrire la distrazione, significa invece concentrarsi in situazioni e direzioni diverse, sempre attinenti all’ambito della propria ricerca e sviluppo personale. Ognuna di queste collaborazioni – e quanto ho imparato da tutti questi musicisti! – ha permesso una sorta di continuità e progressione alle mie idee musicali e viste insieme, sono una sorta di grande puzzle, dove ogni ancoraggio aggiunge nuovi elementi o ne rimuove altri, grazie alla particolare sinergia tra i musicisti coinvolti e alla specifica progettualità del gruppo. Ovviamente è molto difficile mantenere in vita progetti artistici che sono senza compromessi e, per questo, fuori dal music biz dell’establishment, una conseguenza questa dello stato in cui versa oggi la cultura, ormai annichilita da quel totalitarismo chiamato neoliberismo. Ma penso sia dovere di ogni artista perseguire con determinazione e devozione la propria vocazione, sia essa popolare o impopolare. Comunque, la maggior parte di questi progetti è disponibile per festival e concerti.

 
Setoladimaiale Unit

Marco Colonna clarinetti in sib, do, alto e basso
Martin Mayes corno francese e corno delle Alpi
Patrizia Oliva voce ed elettronica
Alberto Novello elettronica analogica
Giorgio Pacorig pianoforte
Michele Anelli contrabbasso
Stefano Giust batteria e percussione

ospite speciale:
Evan Parker sax soprano e tenore

“AngelicA 2018, Festival Internazionale di Musica giunto al ventottesimo anno, da poco conclusosi, ha condotto la sua abituale indagine senza confini e preclusioni sullo stato attuale della musica di ricerca. Nella parte centrale del suo cartellone si sono concatenate tre sere (al Teatro San Leonardo, sede del Centro di Ricerca Musicale, dal 16 al 18 maggio) dedicate a varie esperienze di improvvisazione radicale. Grazie alla commissione di Angelica, in occasione del venticinquesimo anniversario della sua fondazione l’etichetta Setola di Maiale, coordinata da Stefano Giust, ha avuto l’opportunità di selezionare un gruppo di validi rappresentanti italiani del catalogo, che per l’occasione sono stati affiancati da Evan Parker. Lo Unit, alla sua prima assoluta, presentava una formazione particolarmente intrigante: Marco Colonna ai clarinetti, Martin Mayes al corno e corno delle Alpi, Patrizia Oliva a voce ed elettronica, Alberto Novello all’elettronica analogica, Giorgio Pacorig al pianoforte, Michele Anelli al contrabbasso e Stefano Giust alla batteria. Come è prassi abituale di questo tipo d’improvvisazione, il percorso, un flusso continuo senza soste, ha alternato addensamenti e diradamenti. I momenti di rarefazione e smembramento dell’organico hanno lasciato emergere congeniali sottogruppi e veri e propri spazi solistici. A più riprese l’intero collettivo ha espresso un insieme sonoro denso, formicolante, di satura concretezza, pur lasciando distinguere gli apporti individuali. Evan Parker non ha certo peccato di protagonismo, anzi c’è chi sostiene che non gli sia stato concesso lo spazio dovuto: in verità, come i colleghi, il sassofonista inglese ha inserito interventi mirati e sempre dialoganti con il contesto.” (sul concerto con Parker ad Angelica Festival, maggio 2018) Libero Farnè, Il Giornale Della Musica

“Naturalmente ad Angelica non possono mancare improvvisazione e musica creativa… se con Anthony Braxton difficilmente ci si sbaglia, altrettanto si potrebbe dire di un altro mostro sacro come Evan Parker, presente in una prima assoluta con Setoladimaiale Unit, curato da Stefano Giust. A svettare non è soltanto Evan Parker con i suoi sax tenore e soprano, ma anche ottimi comprimari come Martin Mayes con l’impressionante corno delle alpi, Patrizia Oliva a voce ed elettronica, Marco Colonna al clarinetto, lo stesso Giust alla batteria, Michele Anelli al contrabbasso, Giorgio Pacorig al piano e Alberto Novello all’elettronica analogica.” (sul concerto con Parker ad Angelica Festival, maggio 2018) Gino Dal Soler, Blow Up

“Un vero compendio di soluzioni sonore e saggio esemplificativo della ben riuscita improvvisazione di un ensemble multiforme.” (sul concerto con Parker al Jazz Is Dead Festival, maggio 2019) Andrea Maria Simoniello, The New Noise

“Uno dei concerti più belli degli ultimi cinque anni!!!” (sul concerto con Parker ad ImprovviJazziamo, ottobre 2019) Maurizio Zorzi

“Questa straordinaria registrazione è stata realizzata durante il Festival Internazionale di Musica AngelicA 2018 e in occasione del 25° anniversario dell’etichetta discografica Setola di Maiale. “Intro” alza il sipario su questa collezione con un duo di gong che si sviluppa lentamente dal silenzio. In “First” Parker non prende il controllo del pezzo, ma la sua presenza non è nemmeno attenuata. È consumato dal gruppo e dalla loro comunione, emettendo tracce della sua distinta cadenza nella sofisticata miscela. “Second” è ancora più misteriosa e affascinante, con il rumore dell’acqua, il clarinetto e l’elettronica che vorticano in una danza inebriante con la voce, i fiati e il pianoforte. Le percussioni iniziano davvero a colpire intorno al punto centrale, facendo ribollire il gruppo e bruciando il clarinetto. Parker espone i suoi ruvidi vortici su voci ultraterrene e calde percussioni mentre la traccia svanisce. Davvero molto bello. In “Third” il clarinetto basso lotta con i lamenti e i lamenti disperati del trombone, sostenuti da un letto surreale di voci, rintocchi e archi. “Fourth” prosegue con il pianoforte pungente e l’elettronica, il trombone sibila come i venti di un pianeta alieno. I rulli dei piatti mazzuolati suscitano il ritorno a un paesaggio sonoro più movimentato, sottile e un po’ strano ma più che invitante. Il pezzo finale “Fifth” serve sia come culmine che come stemma, l’ensemble ribolle di ogni sorta di deliziosi piccoli rumori mentre gli strumentisti si scambiano sentimenti. La voce manipolata elettronicamente aggiunge un senso allucinatorio e l’affollamento del campo uditivo aggiunge una sfumatura di ansia, guidando l’ascoltatore sull’orlo di un abisso invisibile prima di rotolare indietro dal precipizio e vaporizzare. Un pezzo straordinario, tanto incantevole quanto elettrizzante.” Nick Metzger, Free Jazz Blog

“Registrato da un folto gruppo di maestri del jazz. Invenzione, creatività, immaginazione, esperimenti sonori sbalorditivi, idee selvagge, spericolate e originali e un’innovativa sezione strumentale: queste sono le chiavi di ogni musicista. Le composizioni sono sempre basate sull’improvvisazione libera, sulle basi del jazz sperimentale e d’avanguardia, sulla musica sperimentale, sull’elettronica e sulle intonazioni della musica contemporanea. I musicisti hanno una concezione nuova e moderna e un suono originale – la loro musica è un mix di esecuzione impulsiva, spontanea, emotiva, luminosa e sorprendente, non esitano mai a provare qualcosa di nuovo, esplorando campi sconosciuti ed espandendo la tradizionale zona di comfort del suono. Semplicemente fantastiche improvvisazioni. Il suono è impressionante e dinamico: silenzioso, sofisticato, solenne, profondo, pesante, ruvido. Ecco un’ampia gamma di espressioni, tecniche strumentali, esperimenti e melodie combinate insieme per creare un suono originale e brillante. La sezione batteria e percussione è ampia e dinamica: ritmi afroamericani, ritmi di musica accademica dell’Europa occidentale, così come le figure tipiche degli stili jazz moderni, contemporanei e tradizionali sono collegati a sessioni di rottura e improvvisazioni entusiasmanti. Tutti questi elementi sono delicatamente combinati insieme. La musica di questo album ha un suono fresco, stimolante, efficace e originale.” Rodrigue Bosard, Avant Scena

“Consideriamo le somiglianze di questa grande improvvisazione di gruppo con gli affreschi del Rinascimento. Artisti come Michelangelo e Raffaello dovevano creare questi capolavori in modo rapido. Lo stesso si può dire degli artisti improvvisatori che compongono l’unità Setoladimaiale di sette persone. Gli artisti, pilastri di questa straordinaria etichetta discografica, sono affiancati dal compositore Philip Corner, Phoebe Neville e dal maestro Evan Parker. Come in un affresco rinascimentale, qui ci sono molti dettagli. La musica potrebbe facilmente essere confusa con una conduzione di Butch Morris a causa dell’ordinamento dei suoni improvvisati. È abbastanza sorprendentemente, anche con così tanti musicisti, che non c’è un direttore. Il concerto è come un affresco italiano, ma non statico. Immaginate di stare distesi sul pavimento della Cappella Sistina e di guardare in alto e i dipinti prendono vita, ecco, avete idea di cosa è stata questa performance.” Mark Corroto, All About Jazz USA

“Questo concerto serve a ricordare che è ancora possibile ascoltare musica decente in Italia quando esistono le giuste condizioni. Riunendo alcuni talentuosi musicisti sul palco dell’Angelica Festival e facendoli scortare dalle canne della saggezza della divinità tutelare Evan Parker, il boss dell’etichetta Stefano Giust – anche qui come batterista – ha fornito solo alcune istruzioni di base prima di lanciare il collettivo nei 71 minuti che racchiudono questa eccellente improvvisazione. Questa è una prestazione encomiabile da parte di tutti i partecipanti. L’interazione è caratterizzata da diversificazioni dinamiche e atmosfere spesso impressionanti che cambiano con il semplice tocco di un interruttore. Soprattutto, questa musica non stanca mai le orecchie e ha un motivo preciso per sopravvivere oltre l’evento celebrativo.” Massimo Ricci, Touching Extremes

“Un pontefice massimo del sax soprano è di certo l’inglese Evan Parker, che nel 2018 durante la rassegna bolognese Angelica, è stato ospite di un Setola di Maiale Unit volto a festeggiare il venticinquennale della benemerita label friulana, particolarmente sensibile all’avanguardia. È all’opera un ottetto, con nomi forti come Marco Colonna, Martin Mayes, Giorgio Pacorig e soprattutto quello Stefano Giust, nello specifico percussionista, che dell’etichetta è l’autentico deus ex-machina, ottetto dedito all’improvvisazione senza rete, con esiti peraltro piuttosto solidi, col tenore parkeriano e il clarinetto di Colonna in particolare spolvero. Ottimi momenti corali e individuali.” Alberto Bazzurro, L’Isola Della Musica Italiana

“Disco nella Top Ten annuale di Perfect Sound Forever 2019: Top Ten Writers’ Poll” di Daniel Barbiero

“Setoladimaiale Unit & Evan Parker, oltre ad essere una splendida celebrazione, è anche un aggancio ideologico a quella cornice di indipendenza artistica e di contezza politica che Parker ha profuso nella sua vita; c’è un pensiero anti liberale che è oggetto di discussione in economia, sviluppato per rendere sempre più importanti le diseguaglianze sociali e reddituali: gli splendidi musicisti dell’ensemble lo portano quasi addosso, nelle vibrazioni dei loro strumenti. Ognuno dei musicisti ha il pregio di evitare quelle situazioni ‘cliniche’ dell’improvvisazione che spesso affliggono le esibizioni: qui i dosaggi delle dinamiche sono perfetti, non ci sono prevaricazioni in potenza e gli equilibri scivolano in assoluta libertà e in piena comunione di intenti. È un Cd pensato nelle sue impostazioni di base, ma assolutamente lasciato alla creatività e spontaneità dei singoli musicisti.
C’è un pensiero di Giust che accede alla materia delle conduzioni; oggi si fa un gran parlare dei lasciti di Butch Morris e della necessità di seguire gli organici in un certo modo, ma si può trovare un’impatto emotivo anche in forme collettive libere da metodi: “per me questo è un punto essenziale: pur non avendo nulla contro le conduzioni – ci mancherebbe, ogni strategia musicale trova i miei favori – è possibile avere una musica che si autostruttura, perché è già nella sua natura. Tutt’al più è necessaria una indicazione generale per facilitarle questa possibilità, per rimarcarla, perché è mia convinzione che quando hai un gruppo di artisti, di improvvisatori consapevoli della responsabilità che ciascuno ha nello svolgimento della musica, difficilmente accade che si perda il controllo, la musica dà essa stessa delle indicazioni, costantemente, bisogna solo ascoltare e sentirsi parte del tutto, anche se questo a volte significa non suonare.”
Poi, è obbligatorio guardare le note interne scritte da Giust, in cui si parla di “some vague and poetical indications” suggerite all’ensemble, una stringa di parole che mi ha incuriosito e mi ha spinto a chiedere a Stefano la loro rivelazione: queste indicazioni musicali sono un modo per tracciare la musica e si tratta di frasi che indirizzano ad un comportamento subliminale da tenere durante la performance; tra queste mi sono soffermato sulla riflessione che proclama “suoniamo una musica ‘moderna’, visionaria, intima e inaudita.” Restituisco le sensazioni che ho provato nell’ascolto, nella divisione delle 6 parti dell’improvvisazione… Dati tali effetti dell’ascolto, posso non ammettere che questa è una musica ‘moderna’, visionaria, intima e inaudita?” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Raccomandato!” The New York City Jazz Record

“Il flusso sonoro è omogeneo e ovviamente alle parti d’assieme si alternano dialoghi e conversazioni più ristrette, tra i vari componenti del gruppo, ora astratte, ora più concrete e fitte. Non vi è la pretesa di imporre sovvertimenti, di generare formule e stilemi – espressione di gerarchie –, di soddisfare egoismi, ma soltanto una domanda di ascolto, che vale a mettere in condivisione un’esperienza vitale. Alcuni moduli procedono secondo cadenze abbastanza consuete, fatte di ricerca della densità in alternanza a squarci lirici e rarefazioni, creazione di spazi presto riempiti di campiture coloristiche. La musica respira, trovando una ragione alla complessità, che sa trascendere.” Sandro Cerini, Musica Jazz

“Con una leggerezza che uno non penserebbe, effetto d’una forza che trascina e solleva, questa ora e più vola. Il batterista friulano ha raccolto musicisti che hanno pubblicato per l’etichetta-scommessa (ad oggi vincente) nel venticinquesimo compleanno, per tentare ancora la via della libera improvvisazione. Quello che si genera è un biotopo sonoro, un complesso organico dove la scrittura di scena da spazio a momenti corali di drammatica passionalità. I paesaggi variano, sono aspri di interplays frammentati eppure connessi. La musica corre e salta di asperità in radure dove si offrono temi che ci riprendono dalle cadute nelle spume informali. Musica come fisiologia dell’esistere. (8)” Dionisio Capuano, Blow Up

“Creare un’improvvisazione libera musicalmente coesa con un piccolo gruppo è abbastanza difficile. Diventa molto più difficile quanto più grande è l’organico. Alcuni grandi gruppi sono riusciti a gestirla bene. Aggiungete al loro numero l’Unità Setola di Maiale, un ensemble guidato dal percussionista Stefano Giust. L’improvvisazione è tracciata in cinque sezioni precedute dall’introduzione di Corner e Neville. Ogni sezione evidenzia alcuni aspetti del lavoro del gruppo, di solito sulla base dei numerosi sottogruppi che emergono nel corso del set. Ciò che è notevole è che non ci sono state conduzioni; i cambiamenti nelle dinamiche e nella densità e i frequenti intermezzi per assoli, duetti e trii sono arrivati ​​spontaneamente. Ogni musicista prende il suo spazio come voce principale se non come solista; ci sono bellissimi soliloqui per pianoforte e batteria e momenti di polifonia improvvisata che esplodono tra i fiati. È esattamente il tipo di gioco che ci si aspetterebbe da alcuni dei più sensibili improvvisatori d’Europa, e in effetti è un felice anniversario.” Daniel Barbiero, Avant Music News

“Setola di Maiale… Ovviamente 25 anni di fare questo e accumulare un catalogo del genere meritano riconoscimento e celebrazione. Il capo dell’etichetta e batterista Stefano Giust ha organizzato un settetto di musicisti associati all’etichetta e ha aggiunto un ospite notevole sotto forma del sassofonista Evan Parker per esibirsi all’Angelica Festival 2018. Hanno eseguito una serie di 71 minuti di improvvisazione libera. È un documento davvero impressionante. La musica va e viene e mentre le cose possono scaldarsi a volte, è chiaramente uno sforzo di gruppo. La band si dividerà in vari sottogruppi e la musica sembra fluire in modo naturale. Questi 8 musicisti sono qui per contribuire al tutto unificato e tutti lo fanno con successo. È una performance straordinaria fino all’ultimo respiro e vale la pena ascoltarla.” Robert Iannapollo, Cadence Magazine

“Di particolare interesse!” Cadence Magazine

“Disco nella Top Ten annuale di Cadence 2019: Top Ten Critic’s Pick” di Zim Tarro

“È stata parte integrante di AngelicA – Festival Internazionale di Musica # 28 – che il 26 maggio 2018 si è tenuta una performance che in modo semplice, diretto, sintetico, ma non riduttivo, può essere classificata solo attraverso l’uso di un aggettivo: epico. Il motivo: l’etichetta Setola di Maiale ha festeggiato il suo venticinquesimo anniversario, un momento di grande importanza. In questa occasione, l’Unità Setoladimaiale è entrata a far parte di un autentico mito vivente dell’improvvisazione libera, Evan Parker. L’importanza del Bristoliano nella scena sperimentale europea è profonda quanto le sue radici. Parker è stato uno dei fiori all’occhiello della libera improvvisazione in Europa e, insieme al compianto Derek Bailey, è stato uno dei ricercatori che negli anni ’70 ha trasportato nel mondo la musica dell’improvvisazione britannica. Questo connubio è, dunque, un’affermazione del carattere artistico e musicale di Setola di Maiale, etichetta che, secondo le suggestive ma corrette parole del suo fondatore, Stefano Giust, “è una pura utopia commerciale” in un cultura danneggiata dal “crescente neoliberismo”. Ci sono cinque sessioni di improvvisazione totalmente libere, per un totale di circa 70 minuti. L’interazione e la comunicazione del gruppo è brillante: si sentono spesso domande e risposte, intrecci intenzionali, armonizzazioni inaspettate, complementi ritmici, passaggi di testimonianza, silenzi di alcuni elementi che creano dinamiche, consonanze e dissonanze melodiche.
In breve: Setoladiamaiale Unit & Evan Parker, Live at Angelica 2018, è un documento essenziale della libera improvvisazione europea – altamente consigliato, se è ancora necessario dirlo.” João Morado, Beats for Peeps

“La Setoladimaiale Unit è stata assemblata dal batterista Stefano Giust, che gestisce l’etichetta Setola di Maiale. È un sestetto con anche voce, gong ed elettronica, che lavora nell’area molto produttiva tra free jazz e improvvisazione libera.” Julian Cowley, The Wire

“Sei potenti improvvisazioni guidate dal fondatore/batterista di Setoladimaiale Unit, Stefano Giust. La musica qui è per lo più inquietante ed esplosiva. Non è un ascolto particolarmente facile, nonostante l’approccio sapientemente sfumato in cui l’intensità spesso lascia il posto a passaggi che rimbombano. Da un lato è una mazza dell’avanguardia contro un cranio e dall’altro è difficile non apprezzare non solo il grande controllo strumentale, ma anche gli spazi scomodi che la musica ci obbliga a percorrere. Anche Philip Corner e Phoebe Neville appaiono nell’introduzione, suonando i gong in modo perfetto per l’ambientazione.” RJ, Progress Report

“Musicisti che padroneggiano l’arte della libera improvvisazione fino all’ultimo dettaglio.” Ben Taffijn, Nieuwe Noten

“Nel caso di una registrazione di musica improvvisata, l’impatto è spesso inferiore, ancora di più nel caso di grandi ensemble. Ma questo caso è una piacevole eccezione. Innanzitutto, la registrazione è eccellente e trasparente e in secondo luogo perché l’improvvisazione è molto “accessibile” in un certo senso e si svolge in un movimento indiviso e coerente. Durante il lungo periodo, gli artisti si comportano come un gigantesco organismo che soddisfa le condizioni per rimanere in un flusso organico costante. Incredibile tutto questo viene improvvisato all’istante senza un direttore d’orchestra. Gli artisti erano molto in sintonia l’uno con l’altro poiché questa improvvisazione ha messa a fuoco e corpo dall’inizio alla fine. Naturalmente, l’improvvisazione subisce fasi diverse, con musicisti diversi o sezioni con musicisti maggiormente in primo piano. Una vera abbondanza di stili, atmosfere, colori e dinamiche passano durante questo viaggio. Una gioia!” Dolf Mulder, Vital Weekly

“Che siano ad-hoc o regolarmente organizzati, impegnati nell’interpretazione di composizioni o pura improvvisazione, le piccole grandi band possono servire come veicoli flessibili per l’espressione musicale. Esempi confermati qui di come definire suoni speculativi in un ambiente di piccole grandi band.” Ken Waxman, Jazz Word

“Per il 25° anniversario della sua etichetta utopica, Setola di Maiale, il percussionista Stefano Giust ha raccolto i migliori improvvisatori italiani e ha invitato Evan Parker a unirsi per un concerto a Bologna al festival AngelicA 2018. Domanda: com’è possibile, nel mezzo degli organizzatori / liberi professionisti / critici / affiliati della musica libera, trascurare ancora un batterista e un attivista come Stefano Giust, capo dell’etichetta Setola di Maiale che qui è al 388° album del catalogo? Una vera figura che suona principalmente con musicisti di alto livello. Stefano realizza tutta la grafica delle copertine e si occupa della produzione di un’eccezionale diversità di artisti, infatti di tutto ciò che in Italia conta di performance sonora, compositori elettronici alternativi, chitarristi ingegnosi, poeti jazz libertari, improvvisatori liberi e orchestre utopiche. Un atteggiamento di compagno solidale per la causa piuttosto che una direzione artistica elitaria “specializzata”. Senza dubbio, una delle persone più generose, entusiaste e altruiste sulla scena internazionale, e anche un eccellente batterista / percussionista. In SDM ho sentito tentativi notevoli di artisti che hanno fatto molta strada da allora. Nell’Unità SDM, dobbiamo parlare della cantante Patrizia Oliva che tratta il suono della sua voce con l’elettronica, il clarinettista romano Marco Colonna, probabilmente uno dei più importanti ‘soffiatori’ dalla penisola, il pianista Giorgio Pacorig, notato e rivelato dall’eccellenza del suo lavoro al pianoforte in questa registrazione, Martin Mayes, suonatore di corno nativo di York e che vive a Torino da decenni e che faceva parte dell’Italian Instabile Orchestra, il contrabbassista torinese Michele Anelli, attivista in città per eccellenza, Alberto Novello con elettronica analogica. Il compositore Philip Corner e la coreografa Phoebe Neville iniziano il concerto con i Gong per l’Intro. Sebbene questa esibizione sia stata ‘non preparata’, salvo alcune indicazioni di Stefano Giust e che Evan Parker preferisce non posare come leader, lasciando la musica da fare rispettando la libertà di ciascuno, possiamo distinguere sequenze, parti successive che si collegano spontaneamente con una certa logica, voci individuali si affermano in primo piano supportate sensibilmente dagli altri (Giust in primo luogo). Una vera collaborazione cooperativa che riunisce improvvisatori di comune accordo e energia condivisa. Il comune denominatore: la fede nei valori umani, sociali, culturali notevolmente evidenziati nella musica di Live at Angelica.” Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-improvandsounds

“Bellissimo.” Nicola Negri, Centro d’Arte di Padova

“Musica liberissima, pur con le poche indicazioni offerte da Stefano Giust, anima dell’etichetta e coordinatore dell’ensemble, che viene documentata in questo Cd. Come spesso accade nei casi di creazione istantanea, non è facile dare un’idea dello svilupparsi della musica, che muta in maniera continua e imprevedibile. Limitandosi a indicazioni generali, vanno anzitutto sottolineati il clima lento e quasi meditativo del lavoro, che trova solo occasionalmente alcuni momenti dinamicamente e ritmicamente più intensi—per esempio, nella quarta parte con un crescendo guidato dal tenore di Parker, dal contrabbasso di Michele Anelli e dalla batteria di Giust, o al termine del disco, con il solo momento di magmatico caos, guidato ancora dal tenore del britannico—e il suo carattere collettivo, ancorché scandito dall’alternarsi dell’intervento dei singoli, senza però che nessuno possa mai assurgere a protagonista se non in brevi frammenti. Lavoro sostanzialmente coerente, con momenti di fortissima suggestione” Neri Pollastri, All About Jazz

“Live d’insieme delicato, reattivo e fragoroso nel risultato. Musica libera e abbacinante (poteva esser altrimenti?), che spariglia e confonde input elettronici e folate acustiche, forme riconducibili e astrazione, parecchia magia, brevi assoli, disgregazioni e coraggiosi riassemblaggi in real time. Dilatazioni, perlustrazione, contrazioni e nuova espansione. Tradizione e contemporaneità. Auguri a Setola, il regalo a noi” Marco Carcasi, Kathodik

“Descrivere questa registrazione in tutti i dettagli è impossibile perché tutto è così meticolosamente messo insieme e una reazione segue accuratamente e soprattutto organicamente l’altra. Un vortice continuo di piccoli turni che portano sempre a nuove idee. Questa registrazione è un’affermazione potente e convincente sulla visione dell’etichetta. Rispetto per Stefano Giust e il suo gruppo per mantenere tali standard in questi tempi di populismo commerciale e di mettere al primo posto l’idealismo creativo.” Georges Tonla Briquet, Jazz’halo

“Big bang, sciami sismici, apparizioni, sparizioni, rivelazioni, esondazioni, verità nitidissime, bugie perfette, lampi, haiku, satori, lo stesso sentore di urgenza e minaccia cosmica che anima ad esempio certi tesori del catalogo Actuel: l’arte dell’improvvisazione colta nel momento di un’altissima ispirazione, per una musica che è impossibile dire con le parole ma che va ascoltata ed acquistata, supportando chi dal 1993 si danna l’anima per ricordarci che un altro jazz è possibile. Un pezzo di plastica che contiene universi, racchiusi in 71 minuti di musica imprendibile. Una matrioska psicoattiva aprendo la quale potrete scoprire che un pomeriggio può durare un secolo, e viceversa.” Nazim Comunale, The New Noise

Questo è l’ensemble con cui Setola di Maiale ha festeggiato il 25° anniversario ad Angelica 2018. In quella splendida occasione – un concerto tutto esaurito e successivamente pubblicato in Cd – abbiamo suonato con un ospite speciale, Evan Parker, con una introduzione fuori programma di gong suonati dal compositore statunitense Philip Corner e sua moglie, la coreografa, danzatrice e musicista Phoebe Neville. Con formazioni leggermente diverse (con Daniele Pagliero e Massimo De Mattia), l’ensemble ha suonato altri due concerti insieme a Parker: il 26 maggio 2019 al Jazz Is Dead Festival di Torino (trasmesso integralmente da Battiti Radio Rai Tre il 15 dicembre 2019; inoltre un estratto è stato usato per un documentario sull’artista belga Yves Zurstrassen) e a ImprovviJazziamo di Pordenone, il 13 ottobre 2019. Setoladimaiale Unit è un gruppo di musicisti che suona libera improvvisazione senza reti – ci sono solo alcune mie piccole indicazioni. Una curiosità è il nome Setoladimaiale Unit: l’ho utilizzato una sola volta nel 1999, quando con due diverse formazioni (con me c’erano Luca Cartolari, Dominik Gawara, Paolo Caleo, Maurizio Suppo, Ivan Pilat, Daniele Pagliero, Alessandro Cartolari e Michele Brieda) avevo suonato, su invito degli artisti del Gruppo Oreste, alla 48ma Biennale di Venezia, per l’occasione al Chiostro dei Tolentini e nel famoso Padiglione Italia; di quella esperienza fu realizzato un VHS e un disco intitolati 48th Biennale Di Venezia (SM470), da molti anni fuori catalogo.

 
 
NoNoNo Percussion Ensemble

Gino Robair percussione, elettronica e pianoforte preparato
Cristiano Calcagnile batteria, percussione ed elettronica
Stefano Giust batteria e percussione

“Gino Robair, Cristiano Calcagnile e Stefano Giust, dotati di acume reattivo e consapevoli degli aspetti più intimi delle dinamiche interrelazionali, hanno messo la loro arte al servizio di un’incrollabile abilità artistica che è senza dubbio priva di sfumature egoistiche. Il trio è riuscito a creare un sistema cinetico che suona sia organico che aggraziato. Una delle più grandi qualità di NoNoNo è probabilmente la capacità di ricavare strutture complesse e piaceri tattili dalle parti ad incastro nate come scatti idiosincratici. Gli abili contributi di Robair, Calcagnile e Giust hanno prodotto una fluidità espressiva che non implica mai monotonia, grazie – al di là delle ovvie complessità – alla naturale bellezza delle pelli che si flettono sotto le bacchette e alla potenza dei metalli che risuonano nei nostri teschi. C’è molto più che semplici percussioni, però. Sottigliezze di un pianoforte preparato, elettronica ben posizionata, una chitarra da tavolo che occasionalmente fornisce qualche rintocco. Anche se non si può negare la singolarità improvvisativa del trio, è comprensibile che nei passaggi più “percussivamente complessi” alcuni ascoltatori potrebbero sentirsi piuttosto vicini alle pagine strappate dal libro di Edgard Varèse. E potrebbero anche cogliere vaghe sfumature AMM in cui i chiaroscuri di NoNoNo suggeriscono polvere fluttuante illuminata da raggi di luce obliqui. Attraverso movimenti abili, energici ma non violenti, la loro quintessenza strumentale congiunta irradia diversità.” Massimo Ricci, Touching Extremes

“Tutti e tre sono percussionisti e improvvisatori affermati e hanno suonato con grandi nomi. C’è un senso di spazio nella musica, ed è più basato sulla trama che sulla melodia, anche se di tanto in tanto si possono sentire il pianoforte preparato e le alte frequenze realizzate usando il piatto e la bacchetta. Poiché questi uomini sono tutti abili improvvisatori, l’interazione è fenomenale. Sebbene la maggior parte delle tracce sia relativamente lunga, la musica o i suoni non sono mai noiosi. Trovo difficile descrivere la musica. Perciò dico questo: ascoltatelo! Altamente raccomandato in quanto si tratta di musica ponderata, equilibrata e altamente immaginativa.” DSM, Vital Weekly

“Nel corso degli anni e con più di 400 uscite, l’etichetta italiana Setola di Maiale colpisce sempre più forte. Con questi tre percussionisti uniti come un solo uomo, abbiamo un progetto davvero insolito. Nell’evoluzione della musica libera c’è da tempo una tendenza sostenuta da molti percussionisti ad esprimersi e registrare da solisti o in duetti di percussioni come Milford Graves e Andrew Cyrille o la coppia Paul Lovens e Paul Lytton. Ed ecco il NoNoNo Percussion Ensemble dall’affascinante varietà e dinamica sonora! Leggendo il loro instrumentarium, ci diciamo che la loro tavolozza sonora deve essere ricca di sonorità, timbri, stridi, scoperte. Bene sì! Si tratta infatti di un vero capolavoro in equilibrio instabile, a sua volta delicato e pulito, espressivo e sorprendentemente vario. Molte tecniche sorprendenti e approcci sonori sono sollecitati con un senso di continuità, arricchimento reciproco, diversità, dal tenue al grandioso. Le percussioni si arricchiscono di fini efflorescenze elettroniche, frammenti di pianoforte preparato. Tre musicisti che snocciolano la stessa storia, una narrazione improvvisata che evoca senza enfasi e con la massima gioia, Ionization, il capolavoro di Edgar Varèse, pietra miliare della musica contemporanea. Il tipo di album che puoi ascoltare e ascoltare nel corso delle ore senza finire di coglierne tutte le ramificazioni e le implicazioni, gli angoli vibranti, sonori, di attrito e le fessure, i sussurri dell’indicibile. Un vero e proprio manifesto delle percussioni d’avanguardia con un forte senso della forma.” Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-improvandsounds

“Improvvisazione magica. Tre musicisti manifestano un potere, quello di invertire la magia cattiva. In quel di Angelica, 2019, l’inestricabile interplay dell’ensemble agisce ad un livello altro rispetto al mero set percussivo, bontà anche dell’utilizzo dell’elettronica e d’un piano preparato (Robair), di fogli metallici elettrificati ed altri effetti (Calcagnile) e d’un instancabile tessitura multidimensionale (Giust). Si compie quell’esorcismo che si chiama creatività, capace di strappare un sorriso di liberazione. Voto: 8.” Dionisio Capuano, Blow Up

“Le esibizioni consistono in musica materica finemente sintonizzata in cui il timbro e la dinamica prendono il posto della melodia e dell’armonia come qualità organizzative. Contrasti di metallo e membrana mescolati a percolazioni elettroniche; interventi simili a marimba su pianoforte preparato incorniciati su entrambi i lati da una batteria convenzionale; piatti ad arco e raschiati su toni di bassa frequenza: questi e altri suoni costituiscono questi tessuti sonori in continua evoluzione. Lo sforzo dell’ensemble è veramente collettivo, e sebbene il mix separi efficacemente le voci, con Giust a sinistra, Robair al centro e Calcagnile a destra, tutti e tre i musicisti sono esperti coloristi e ascoltatori simpatetici, in grado di completarsi a vicenda con qualsiasi sfumatura sia necessaria in un dato momento.” Daniel Barbiero, Avant Music News

“I tre percussionisti individuano una forma trasformativa dei loro strumenti che si materializza attraverso una sensibilità strumentale particolare, quella che vuole ottenere “intuizioni” o “apprensioni” senza doversi preoccupare di canoni prestabiliti e che potrebbero teoricamente riprodurre degli scenari retorici; la sensibilità dei tre percussionisti non si fonda solo sul potere riconosciuto dei sets percussivi ma su un allargamento degli orizzonti elettroacustici. Ognuno dei tre musicisti porta autonomamente la sua traccia all’interno della musica: Robair si serve di alcuni accorgimenti elettronici (piccole granulazioni, decostruzioni che simulano astrusità piuttosto ricorrenti nell’elettroacustica improvvisativa) e soprattutto inserisce qua e là pezzi scomposti di piano preparato; Calcagnile rileva estensioni su una drumtable guitar e su fogli metallici elettrificati, mentre Giust è un eccellente stantuffo poliritmico arricchito di stimoli sonori estensivi ai piatti (sibili, colpi ad intensità divergente, gestione delle pause, etc.).
 Nel Cd Excantatious tutto si svolge nello stesso momento, le connessioni viaggiano di pari passo con le intuizioni e non c’è nemmeno bisogno di averli di fronte per rendersi conto di un’organizzazione prelogica della musica: basta ascoltarla la musica e cercare di individuare un linguaggio “protettivo”, dove stregoni e superstizioni sono congelati in un potere positivo, naturale, del tutto aperto alla condivisione.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Ho finalmente potuto sentire il Cd NoNoNo Percussion Ensemble. Molto bello e interessante! Secondo me si tratta di “free jazz” raffinato e coinvolgente. È raro trovare un Cd di percussioni di questo livello.” Giuseppe Giuliano, compositore

“Un Cd firmato a sei mani dall’americano Gino Robair e dai nostri Cristiano Calcagnile e Stefano Giust. Il lavoro, di taglio eminentemente contemporaneo, si muove attorno a suoni scarni, essenziali, a volte persino ritrosi, che amano circondarsi di ampie zone di silenzio e privilegiano comunque il pianissimo, il meditativo, il decongestionato.” Alberto Bazzurro, L’Isola Della Musica Italiana

“Registrata al Teatro San Leonardo di Bologna, questa improvvisazione fra i tre musicisti, viaggia che è una meraviglia. Un piano sequenza di intonati contrasti sparsi e organica materia che si snoda fra ampie espansioni e poliritmiche circolarità percussive, sollecitati a giocar sul sibilo delle frequenze, sortite di piano e piccole bolle d’elettronica (su posizionamenti elettroacustici). Dice lo statunitense Robair, di una positiva qualità ritualistica emersa al riascolto, una capacità del suono di scacciar incantesimi non richiesti. Tanta tanta beatitudine dell’istante. Voto: 8.” Marco Carcasi, Kathodik

“Nuovo disco dell’etichetta di improvvisazione italiana per eccellenza, Setola di Maiale, ed è un’esperienza di ascolto affascinante. Con vari strumenti a percussione, pianoforte preparato, batteria, glockenspiel, lamiera elettrificata, piatti ed elettronica, il trio si è messo al lavoro per settantacinque minuti. Sentiamo un susseguirsi di sottili cambiamenti, bizzarre combinazioni di suoni, tremendi raschiamenti e talvolta un ‘vero’ pianoforte. I tre musicisti hanno chiaramente i loro codici che portano gradualmente l’ascoltatore in trance. In nessun momento un’esitazione rompe l’incantesimo.” Georges Tonla Briquet, Jazz’halo

Questo ensemble di percussionisti nasce nel 2019 per una sessione di registrazione al Teatro San Leonardo di Bologna, per il Cd intitolato Excantatious (Setola di Maiale, 2021). Come ha scritto Gino, la musica di questo disco ha una qualità positiva e rituale, così i titoli sono stati scelti intorno al concetto di liberazione per incantesimo e magia inversa, per liberarsi da un incantesimo. La musica è improvvisazione libera prossima alla musica contemporanea. L’ensemble ha anche una naturale vocazione a diventare una ‘piattaforma’ per solisti, qualità questa che i tre musicisti vorrebbero indagare in futuro.

 
 
Politácito

María ‘Mange’ Valencia sax alto e clarinetto
Paolo Pascolo flauto traverso, flauto traverso basso e sax tenore
Stefano Giust batteria e percussione

“Registrazione superbamente ben fatta di un concerto altamente ispirato interamente dedicato all’espressione improvvisata libera e generosamente aperta. Venti svolazzanti sensibili e deliziosamente sonori, fragili, sospesi nel campo uditivo, note sostenute, vibrazioni increspate, fremiti sottili, poesia di narrazioni spontanee… Tra Maria e Paolo l’intesa è perfetta. Attraverso queste improvvisazioni concentrate, c’è il modo assolutamente straordinario di Stefano Giust di suonare con ogni oggetto percussivo colpito, strofinato, risonante, rimbalzato, graffiato. La sua poliritmia studiata e la grande varietà dei suoi colpi, la loro notevole leggibilità catturano l’ascolto e l’attenzione dell’ascoltatore. Le bellissime sfumature del tocco dei piatti e i discreti rulli aleatori sulle pelli conducono al movimento costante, ad una scansione impalpabile. Quest’uomo racchiude alcuni segreti della batteria libera, del drive-swing invisibile, della ricerca sonora e di uno stile tutto suo. Segue una magnifica unione di idee, sentimenti, suoni e timbri all’interno di un trio atipico. Ecco un trio dal free-jazz vulgato che ci cambia completamente dalle abitudini, dai tic e dai luoghi comuni rigurgitati altrove.” Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-Improv and Sound

“La musica è rada, spaziosa e intima. Questo non vuol dire che non ci siano momenti di rabbia o tumulto, ma è tutto relativamente tranquillo e meditativo, il che non vuol dire che sia noioso, tutt’altro. ‘Puntiagudos ocultos’ inizia con lunghe linee intrecciate di sax alto e flauto, accompagnate da ritmi folli e trame inventate da Giust. Ha un bellissimo posto da solista nello stesso pezzo. I due suonatori di fiati reagiscono tra loro con agilità e rapidità, creando un dialogo in cui, a volte, uno finisce una frase e l’altro inizia. Lunga quaranta minuti, questa è un’eccellente pubblicazione di musicisti che si ascoltano attentamente l’un l’altro e ottengono suoni, trame e talvolta melodie meravigliose. Spero ci sarà un seguito in futuro.” MDS, Vital Weekly

“Abbinare due corni con un solo strumento di accompagnamento è una sfida, poiché ogni musicista deve colmare le lacune melodiche o ritmiche potenzialmente esposte da questa miniaturizzazione. Questo trio mostra cosa si può fare. A seconda delle cadenze del batterista italiano Stefano Giust, le tre lunghe improvvisazioni di Ricordi Del Tardigrado nascono anche dall’intersezione dei timbri del flautista/sassofonista italiano Paolo Pascolo e della sassofonista/clarinettista colombiana Mària ‘Mange’ Valencia. Pascolo ha lavorato con Giorgio Pacorig; Valencia con Ingebrigt Håker Flaten; e Giust con numerosi improvvisatori internazionali. Girandosi e rigirandosi tra peep di flauto, legature di sassofono tenore e paradiddle di batteria, i membri di Politácito espandono l’interfaccia sopra i battiti nervosi, i rim shot e gli slap di Giust fondendo sottili variazioni trasversali del flauto con appiattimenti forzati e strilli del sassofono.” Ken Waxman, Jazz Word

“Emerge chiara una grande capacità di interplay e di tessere melodie e continui dialoghi. Il contrappunto di Giust è incredibile, sempre presente e vigile, sempre attento ad ogni minima variazione, pronto a dialogare e a restituire emozioni fresche. Complimenti veramente, ottimo lavoro!” Renato Sclaunich

“L’improvvisazione libera è incontro, crocevia di sensazioni latenti, spesso anche dominio di mondi surreali. Un bell’incontro è avvenuto per un concerto che ha visto Paolo Pascolo e Stefano Giust suonare assieme alla sassofonista/clarinettista colombiana Maria ‘Mange’ Valencia. Va detto che Valencia è attivissima anche fuori dai confini del suo paese e ha una visione eclettica della musica che non perde di vista nessun genere; in circa vent’anni di attività è stata presente in molte formazioni sempre alla ricerca di linguaggi musicali che abbiano un “volto” nuovo. Recentemente si è persino fatta portavoce di una ricerca sulla composizione contemporanea colombiana, presentando un bel lotto di compositrici tutte da scoprire. Naturalmente non mancano le sessioni improvvisative, che sono un pò il fulcro dei suoi interessi e l’esibizione di Udine, confluita in Politácito, è un buon modo per saggiare capacità e ostinazione politica. Il set è molto attraente perché si muove in una velata e non verificata asincronia delle menti dove rintracciare le essenze di una condizione musicale, trattamenti che arrivano sulla base dell’intuito ma che lavorano su un senso recondito. La valenza politica del trio sta nella sottotitolazione di Politácito, quando si fa riferimento ai Ricordi del Tardigrado. Il tardigrado è uno degli animali più resistenti della Terra, capace di vivere senza acqua per decenni, di sopportare temperature elevatissime, le radiazioni e le alte pressioni marine, di essere tollerante persino alla mancanza di gravità. Bene, questa spiegazione è utile per rivendicare un genere e una fedeltà culturale, perchè l’improvvisazione del trio ha tutta l’aria di voler aderire a quell’idea di resistenza contro l’aggressione di una musica che oggi ha una forte perdita d’identità.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Non ci sono riferimenti diretti o punti di riferimento, suonano come se fossero nel vuoto.” Georges Tonla Briquet, Jazz’halo

“Il suono del gruppo è dominato da un interesse per la trama nelle sue varie manifestazioni, che vanno da densamente fitte a apertamente distanziate. L’interazione tra i due strumenti a fiato tende ad assumere la forma di una dialettica di ammassamento e dispersione. A legare tutto insieme c’è la batteria a ritmo libero di Giust. Giust qui, come in altre registrazioni, dimostra di essere un colorista dedicato e perspicace con un tocco sicuro, usando bacchette, spazzole e mani per suscitare un vasto mondo di suoni da tutte le parti della batteria e dei piatti.” Daniel Barbiero, Avant Music News

Il trio Politácito suona musica liberamente improvvisata ed è nato in occasione di un concerto nel 2022, poi pubblicato nel CD intitolato Ricordi del Tardigrado per Setola di Maiale (SM4530) e pubblicato nella primavera del 2023. María è una improvvisatrice e compositrice originaria di Bogotà (Colombia), attiva nel campo della musica sperimentale e nota per la sua presenza come concertista con The Meridian Brothers, sin dalla loro nascita. Con Paolo la collaborazione è di lunga data con Aghe Clope, Haiku ed ensemble estemporanei. Il trio collabora con l’artista visivo (live analogic visuals) Wandalumen, aka Francesco Scarel. Politácito è una parola che in realtà non esiste (Poli – Tacit).

 
 
De Mattia / Pacorig / Maier / Giust

Massimo De Mattia flauti
Giorgio Pacorig pianoforte
Giovanni Maier contrabbasso
Stefano Giust batteria e percussione

“Detto con fermezza, una nuova generazione di improvvisatori italiani ha fatto sentire la sua presenza a livello internazionale negli ultimi dieci anni e mezzo, includendo sicuramente i quattro che hanno creato la suite che compone questo disco memorabile.” Ken Waxman, Jazz Word

(Disco del mese per Musica Jazz, n. 810) “Musica libera, che nasce dall’ascolto reciproco e dalla relazione istantanea, sempre ispirata da un lirismo elegiaco e puro, che le consente di librarsi, quasi indifferente alla materia. L’alea, che qui non è mai casualità indistinta, stante l’affiatamento del quartetto, prende corpo in colori, sensazioni, respiro, suono, ‘vita’, componendo infine una ‘suite’ bellissima, da contemplare.” Sandro Cerini, Musica Jazz

“L’abitudine a essere consolati, confermati nelle nostre risibili certezze. Il sapore stantio di tanto jazz che non è altro che calligrafia, cartolina. Contro questa attitudine si muove da 25 anni, ispida e cocciuta, Setola di Maiale, l’etichetta di improvvisazione del batterista Stefano Giust. “Desidero vedere, sento” è una dichiarazione di intenti, una presa di posizione. Chiudo gli occhi e per vedere veramente li apro verso dentro: un mondo ripido, esteso, non euclideo, pieno di bellissime trappole, meccanismi obliqui e perfetti, tutto risplende nelle geometriche bave di ragno del caso, il dado è tratto, si varca il Rubicone, la comfort zone, il quartetto è in puro stato di grazia. Il Cd ti fruga in testa come uno psicanalista portatile e muto: basta infilare il dischetto magico nello stereo, alzare il volume, e lasciare scorrere le immagini. Salpare verso l’indicibile, nell’oceano del suono aperto, ritrovare la meraviglia, lo stupore. Un disco importante, illuminato da una grazia malmostosa e scura, lirica e scontrosa al tempo stesso, come se su tutta l’improvvisazione aleggiasse un sentore di minaccia, di vento sfavorevole (che sia il vento dell’attualità?): una navigazione fuori rotta che per cinquanta minuti abbondanti ci consegna quattro musicisti capaci di scoprire ancora una volta nuovi territori.” Nazim Comunale, Il Giornale Della Musica

“Intorno alla libera improvvisazione aleggiano ancora fantasmi duri a morire. Vedere salire sul palco musicisti non solo senza partiture ma nemmeno con uno straccio di accordo preventivo su come muoversi viene vissuto da molti con fastidio, come un atteggiamento intellettuale. Peccato perché, e questa registrazione lo dimostra ampiamente, la disposizione all’improvvisazione collettiva è uno delle sfide più belle per chi suona. Anche per chi ascolta. In realtà De Mattia, Pacorig, Maier e Giust sono saliti sul palco del Teatro San Leonardo di Bologna – nell’ambito di Angelica Festival – con un repertorio vastissimo: le loro storie, la loro memoria, il loro talento, curiosità, esperienze, ricerche e disponibilità al rischio. Tutti materiali unici da gestire nel dialogo collettivo, con ascolto e complicità. Mica facile. Eppure i quattro dimostrano una straordinaria capacità compositiva istantanea che si traduce in un flusso sonoro continuo zeppo di idee condivise, strappi, silenzi, suoni inudibili, visioni e poesia. Un Cd questo che andrebbe programmato in alcune stanze grigie della didattica musicale, per accendere luci.” Paolo Carradori, Alfabeta2

“Il quartetto avanza cambiando spesso algoritmo compositivo: da lente addizioni di suoni, che poi diventano melodie lineari, a improvvise destrutturazioni operate per sottrazione, improvvisa e repentina. Costruzione e distruzione, accelerazioni e inattesi stop, per un insieme sonoro vivo, multiforme e spettacolarmente estremo.” Roberto Paviglianiti, Strategie Oblique

“Desidero Vedere, Sento è un momento eccellente nella vita di questi quattro artisti, pieno di musicalità, di intenso ascolto e condivisione spontanea, un lirismo sereno che ci guida verso momenti segreti, di leggerezza elegiaca, profumi inenarrabili e immagini decostruite. Un grande successo, basato su un rapporto approfondito dell’improvvisazione totale e una concezione democratica per ogni strumento / personalità nello spazio sonoro.” Jean-Michel Van Schouwburg, Improjazz/Orynx-improvandsounds

“Un combo di straordinari improvvisatori. I quattro si muovono nell’ambito di una dimensione libera, scevra di qualsivoglia condizionamento ma proprio per questo assai pericolosa. Il rischio di cadere nel manierismo, nel deja-vu, nello scontato è dietro l’angolo: basta un calo di tensione, un input non recepito nel giusto verso e la frittata è fatta, non si torna indietro. Ebbene nulla di tutto ciò si percepisce ascoltando l’album: viceversa vengono in primo piano la passione, la dedizione, la spontaneità, l’onestà intellettuale di questi quattro artisti che non a caso sono oramai considerati tra i migliori improvvisatori non solo a livello nazionale. Di qui una musica certo di non facile ascolto ma sempre innervata da un perfetto controllo della dinamica e da una sorta di lirismo che non sfugge ad un orecchio allenato.” Gerlando Gatto

“È proprio bello.” Marcello Piras

“La musica è il risultato della maestria di questi quattro musicisti. Fin dal primo ascolto sono subito chiare le doti di De Mattia, Pacorig, Maier e Giust: non sono solo le qualità del singolo musicista, ma bensì l’armonia e il confronto che sanno esprimere improvvisando insieme, dando risalto alle individualità ma suonando come una cosa sola al tempo stesso. I cinque brani del disco sono un misto di jazz e contemporanea ma nulla di accademico, musica viva e frizzante: dalle continue fughe in avanti ai momenti di sospensione, il tutto pur nella complessità mantiene un forte aspetto narrativo, quasi visuale. Il rendere questa musica non solo “bella” ma “piacevole” è un punto importante a favore di Desidero Vedere, Sento: resta solo il rammarico di non essere stati in sala quella sera.” “Un disco davvero eccezionale!” Emiliano Grigis, Sodapop

“Un quartetto di improvvisazione che diffonde un certo amore musicale…” Tom Sekowski, All About Jazz USA

“A questo incontro si può attribuire un’alto valore simbolico: dimostra che anche l’improvvisazione italiana ha la sua fisionomia e ne presenta alcuni dei suoi migliori rappresentanti. Il concerto è un punto d’arrivo, ci informa su quanta strada è stata fatta in materia improvvisativa, è un flusso riepilogativo di tecnica ed emotività, che scaturisce da un’esperienza decisamente interiorizzata dai musicisti, che nel tempo si sono creati uno standard. Desidero Vedere, Sento è combustile libero, è pieno di dinamiche e vola alto nell’immaginazione indotta dalla musica; è somma delle parti e dei loro stili: i voli pindarici e atonali di De Mattia, il pianismo a tre dimensioni di Pacorig, i saliscendi nella punteggiatura di Maier e il dettagliato nervous sound applicato da Giust. Se qualcuno crede che il ricordo della musica possa venir fuori da regole, battute o combinazioni studiate e soprattutto centrando il focus su determinati punti di riferimento, sentendo Desidero Vedere, Sento dovrà necessariamente cambiare idea, perchè questo è il luogo ideale per cominciare a pensare definitivamente ad una diversa costruzione della sensazione musicale, dei suoi snodi e dei suoi effetti.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Album inserito tra i ‘migliori’ dischi del 2018 di Percorsi Musicali.” Ettore Garzia

“Vario e vitale il quartetto che firma Desidero Vedere, Sento. Un clima ora più ficcante e nervoso, ora più volatile, sempre nitido e leggibile.” Alberto Bazzurro

“Quattro protagonisti della scena di improvvisazione italiana escogitano nuovi materiali dal vivo. Influssi di ogni tipo e lo spostamento di varie superfici di appoggio appartengono alla loro scatola di trucchi. Impastano strutture come plastilina, rempiendo il tempo e lo spazio loro assegnati in modo ottimale. Apparso sull’etichetta dell’improvvisazione italiana per eccellenza.” Georges Tonla Briquet, Jazz’halo

“Complimenti a tutti. Una capacità di sintesi dei linguaggi musicali notevole e un senso estetico di grande godibilità. Il percorso che parte dal free jazz e passa innumerevoli esperienze di contaminazioni è veramente efficace e intelligente.” Gianpaolo Salbego

“Devo ringraziare i quattro musicisti che hanno suonato questa musica. Li ringrazio per lo spirito indomito, per la purezza e l’onestà del gesto. Li ringrazio per aver dato alle stampe una musica che vibra nel Mondo in maniera tanto folle da essere bellissima. Una musica di livello tanto alto che il solo contemplarla mi costringe al plauso. Mi costringe per onestà e dovere a rendere il merito a questa esperienza bellissima, senza la quale molto sarebbe più difficile. Ascoltatela. Vivetela. Amatela. Bruciatela. Trasformatela.” Marco Colonna

“Un classico esempio di improvvisazione, nel quale le invenzioni dei singoli si legano grazie all’ascolto e alle risposte istantanee che la loro notevole intesa favorisce. E i singoli non sono avari né di invenzioni, né di brillantissime sonorità: fin dall’incipit nervose e frammentate quelle di Di Mattia, che raggiunge poi in più occasioni incredibili vette di intensità dinamica; astratte e cristalline quelle di Pacorig al pianoforte, sovente distorto e suonato sulle corde, ma spesso anche estremamente lirico ed evocativo; potentemente scure e propulsive quelle di Maier, che oscilla costantemente tra spinta ritmica e narrazione lirica, sia al pizzicato, sia all’archetto; coloristiche quelle di Giust, voce paritetica ancor prima che elemento ritmico. Ed è l’inseguirsi di queste voci, l’intrecciarsi dei suoni, il loro liberissimo accelerare e decelerare, impennarsi e placarsi, a comporre il tessuto di una musica tutta da seguire, interiorizzare e meditare. Una musica che sorprende a ogni ascolto e che, come sempre le “improvvisazioni riuscite”, rischia di far apparire “noiosi” tutti gli altri ascolti.” Neri Pollastri, All About Jazz

Il quartetto nasce in occasione di un concerto tenutosi per la Stagione Concertistica 2016/2017 di Angelica, presso il Teatro San Leonardo di Bologna. È ora disponibile il Cd di questa registrazione professionale, dal titolo Desidero Vedere, Sento, pubblicato da Setola di Maiale con le note di copertina di Ken Waxman (qui sopra un breve estratto del testo).

 
 
Mahakaruna Quartet

Giorgio Pacorig pianoforte
Cene Resnik sax tenore
Gabriele Cancelli cornetta e tromba
Stefano Giust batteria e percussione

“Questo gruppo è una vera forza della natura. Ottimi i dialoghi tra il sax di Resnik e la cornetta di Cancelli, ricco e mai prevedibile il pianismo di Pacorig, libero e antiretorico Giust alla batteria. La musica libera e la bellezza di ciò che non è prevedibile e incasellabile sono una scelta politica, un lungo, fertile flusso di invenzioni. Un disco molto bello e al quale ritornare nel tempo, suonato e composto da musicisti da seguire, senza riserve.” Nazim Comunale, The New Noise

“Criticando il mondo del lavoro necessario con un’improvvisazione di quasi 70 minuti, gli arrangiamenti del pianista Giorgio Pacorig per il quartetto enfatizzano la libertà musicale a scapito dell’agit-prop. Il risultato felice è che la musica può essere apprezzata per il modo in cui questo quartetto italo-sloveno gestisce, in maniera sofisticata, il materiale (canzoni dei lavoratori), indipendentemente dall’orientamento politico. La soddisfazione per il programma sonoro maschera inequivocabilmente qualsiasi messaggio politico. Un viaggio polifonico sulle montagne russe, con tutti i brividi intatti, ‘Inventum’ dovrebbe essere celebrato per ciò che realizza musicalmente, non per le idee politiche ed economiche che non definisce in modo semplicistico.” Ken Waxman, Jazz Word

“Imperversa l’elemento improvvisato, a tratti anche turbolento, vociferante, ma a intermittenza maggiormente disposto verso quella cantabilità di stampo popolare che è tipica dei brani arrangiati per l’occasione da Pacorig. Un altro gran modo di “cantere” il lavoro.” Alberto Bazzurro, Musica Jazz

“I singoli brani, originariamente melodici, hanno una densità ‘industriale’, o ‘meccanica’ e così deviano l’estetica di questi pezzi popolari, fondendoli insieme in un unico processo. Eccellenti esempi sono Addio Lugano, 8 Ore e Canto Dei Battipali. La fusione dei due mondi è meglio riflessa nelle Cantigas Do Maio, dove la musica epica e allo stesso tempo melodica e sperimentale è alla ricerca di uno spazio sonoro più ampio. In questo modo, l’ascoltatore recepisce un messaggio significativo per i tempi in cui viviamo: le attrezzature del lavoro non sono più strumenti esclusivi, abbiamo persone che diventano disumanizzate; le macchine non sono più solo robot.” Nina Novak, Sigic

“Un percorso nel quale brani della tradizione popolare emergono come fantasmi tematici nelle improvvisazioni collettive. L’atmosfera è onirica: la ritmica polverizzata di Giust e la generale indeterminatezza armonica fanno sì che la musica fluttui sospesa come in un sogno dove vanno e vengono ricordi, frammenti di realtà e immagini fantastiche. Mentre ascoltiamo ci sembra di riconoscere Le Otto Ore, Addio Lugano Bella, Il Canto Dei Battipali ma sono trasfigurate e scheletriche in un pulviscolo di suoni e schegge melodiche. Il clima generale è di attonito spaesamento: l’uomo e il suo rapporto con il lavoro ai tempi dell’egemonia liberista, della precarizzazione e della solitudine dei salariati.” Flavio Massarutto, Il Manifesto

“L’improvvisazione – che resta la cifra della musica – nasce da canti di lavoro e ruota intenzionalmente attorno a essi. Gli esiti sono a dir poco entusiasmanti: musica vivida e pulsante, che attraversa trasversalmente gran parte della tradizione jazzistica – il free, la New Thing, la protesta anni Sessanta-Settanta – ma lo fa all’insegna della libera improvvisazione. Spettacolari tutti i protagonisti, con Resnik e soprattutto Cancelli in prima fila, e Giust a sostenere propulsivamente il magma sonoro. In questo contesto Pacorig (autore peraltro di tutti gli arrangiamenti) gode di ampia libertà e la sfrutta in particolar modo dal punto di vista timbrico (Addio Lugano, nella quale brilla per scelta di suoni Giust). Non mancano comunque i momenti lirici, in particolare nella bellissima Cantigas de Maio. Disco notevolissimo, sul crinale tra la tradizione e l’improvvisazione radicale.” Neri Pollastri, All About Jazz

“Dal Quartetto Mahakaruna arriva questo insieme sostanziale e completamente piacevole di improvvisazione libera basata sul jazz. Il gruppo è stato registrato dal vivo al Jazzmatec Festival di Udine nei giorni bui del covid di settembre 2020. La musica che ne è derivata deve sicuramente contare tra le poche cose positive emerse da quell’anno. Nel corso del set, il quartetto produce un’improvvisazione realizzata in collaborazione, in particolare per la sua vivida fusione di colori e l’uso intelligente di dinamiche variabili. Il Fender Rhodes e l’elettronica di Pacorig giocano un ruolo particolarmente chiave ma discreto nell’intrecciare la trama generale; Cancelli e Resnik si dimostrano musicisti collettivi di prim’ordine, e Giust suona ancora una volta con una sensibilità e una musicalità praticamente ineguagliate tra i batteristi improvvisatori.” (sul secondo album) Daniel Barbieri, Avant Music News

“All’ascolto, questa registrazione potrebbe essere definita free-jazz “libero”, dove sax e tromba alternano i loro interventi in un dialogo costante, scambiandosi idee e ispirazioni. Il batterista divide e sposta ritmi immaginari in sconcertati rulli / battiti e pulsazioni elastiche in movimento, mentre il tastierista Giorgio Pacorig (Rhodes + elettronica) invoca / evoca la psiche elettrica di Miles e un enigmatico Sun Ra. Questo concerto si sviluppa in un territorio dove lo sperimentale si unisce al free jazz e il disordine istigato trova il suo punto di gravità. Il batterista è discreto creando uno spazio per i vortici insistenti dei soffiatori e le raffinate e selvagge derive elettrogeniche del tastierista mentre dà lo spin decostruttivo con questo particolare drumming libero, costantemente e consapevolmente sbilanciato. Un bellissimo outfit come spesso a Setola di Maiale (opera utopica del grandioso Stefano Giust). Pratica di vita!” (sul secondo album) Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx Improv and Sound

“Creando un’interazione elettroacustica con accordi spaziali vibranti, importanti quanto le tecniche acustiche, il gruppo proietta ad arte l’approccio nei concerti dal vivo. Un incontro unico di improvvisatori che si sono distinti in altri contesti, Life Practice è un’interazione tra le tensioni create dal piano elettrico e dall’elettronica dell’italiano Giorgio Pacorig, più i tratti acustici dalle percussioni dei connazionali Stefano Giust e dalla tromba di Gabriele Cancelli e dal sassofonista tenore sloveno Cene Resnik. Più acustica per progettazione, l’unica improvvisazione estesa di Life Practice si muove attraverso una variante idiosincratica di introduzione, elaborazione e conclusione. Esponendo dinamiche non convenzionali, l’ensemble conferma che la libertà di domani e la pratica della vita di oggi creano programmi avvincenti che mescolano abilmente trame nuove e attese.” (sul secondo album) Ken Waxman, Jazz Word

“La musica presentata qui è molto godibile con qualcosa per tutti: belle melodie, cacofonia controllata, atmosfere minacciose, paesaggi sonori ampi, il tutto presentato con una spinta e un intento, ostinazione se vuoi, per portare la musica espressiva al pubblico. Particolarmente adatto per le persone a cui piace tuffarsi nel mondo dell’improvvisazione libera, per avere un assaggio di ciò che è possibile quando nulla è scritto, ma la melodia è ancora la chiave, qualunque sia la chiave utilizzata.” (sul secondo album) Vital Weekly

“Free improvisation ben calibrata: tre quarti d’ora di musica assai leggibile e mai pretestuosa.” (sul secondo album) Alberto Bazzurro, L’Isola Della Musica Italiana

“Il Mahakaruna Quartet è un quartetto di improvvisatori che interpreta con efficacia un free jazz di cui ne vantano una linea di introversione: propongono una sorta di allucinazione jazz che si fonda su un rivolo di quella maestosa direttiva che Miles Davis introdusse nel suo In a Silent Way. In quel famoso lavoro Davis fece di tutto per smarcarsi da un’etichetta o genere, per proporre una forma di espressione universale, non scevra da una posizione politicamente critica sulla comunità del jazz. Cogliere il messaggio di questi tempi significa appoggiare tutte quelle attività sociali che sono i parafulmini del diniego dei diritti e il Mahakaruna l’ha fatto attraverso la musica e la liberazione dei dogmi. Musica intelligente, flussi di free jazz in cui l’obiettivo è l’espansione dei risultati, apertura delle menti attuabili con un piano d’azione in cui ognuno dei musicisti partecipa in maniera equivalente, dal fender rhodes che gioca un ruolo specifico per delineare gli scenari, alla percussione che è un turbine; per la tromba e il sax tenore l’istinto è di muoversi rapidamente con assoli in sezioni che durano intense nello spazio di un respiro.” (sul secondo album) Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“La struttura narrativa fornisce un quadro appropriato per le strutture aperte. A poco a poco ognuno ha il suo turno e la sperimentazione è all’ordine del giorno. Un evento di successo.” (sul secondo album) Georges Tonla Briquet, Jazz’halo

“L’esibizione al Jazzmatec Festival si rilassa ed ingarbuglia, azzuffa ma non troppo, tra battito in continua frammentazione e liquide note di tasti. Più che attriti, sensibili avvicinamenti.” (sul secondo album) Marco Carcasi, Kathodik

“Con passione grande. Appunto. Ci piace essere sorpresi. La serendipità della musica. Ancora, dopo quell’Inventum del 2017 che brucia dentro di passioni mai sopite e (non illusioni ma) ciottoli di intenzioni. Muscolare l’ancia, invettiva la tromba, la batteria anarchica ma organizzata, per la causa e politicamente lisergiche le tastiere spiritate. Invidiamo la sintonia, la comunanza alle memorie condivise. (8).” (sul secondo album) Dionisio Capuano, Blow Up

“Protagoniste del Monday Night Raw sono le liberissime e coraggiose escursioni nei meandri di un free limpido e poetico del Mahakaruna Quartet. Così, in un continuum musicale dove la poetica più aperta dei nostri già ci appassiona e conquista, possiamo riconoscere splendidi temi trattati attraverso dialoghi serrati freschissimi, lenti ed appassionanti, feroci e velocissimi, che confermano ancora una volta la grande libertà espressiva dei componenti, i quali ammiccano ad un certo free jazz con puntatine alla musica contemporanea, ma sempre con una originalità colma di emozioni e cuore.” (sul concerto al Jazz Club Ferrara) Estense

“Il quartetto ha presentato un concerto piuttosto complesso. È stato possibile nel suono comprendere gli elementi di una narrazione, caratterizzata da una fluttuazione tra rumore, colorazione ed espansioni armoniche, echi pieni di vecchie canzoni, città sfocate e romanticismo. Nel frattempo il quadro comprendeva una serie di finezza, dai fiati di Resnik e Cancelli o Pacorig sul Rhodes. Con tutto ciò, Giust è stato in grado di percepire le percussioni, navigare in un’ampia varietà di acque ed esibire una discreta maestria. Era un’apparizione per un orecchio paziente e attento. Mahakaruna non occupa il classico dell’improvvisazione libera, che realizza effetti solo sul lato oscuro del suono, il rumore, ma anche su una narrazione fatta di meta livelli, dove la combinazione crea un complesso mix semantico. È necessario essere estremamente attenti, seguire ogni passo del Quartetto e, allo stesso tempo, non perdere l’interezza – una sorta di esercizio di immagini Gestalt di lettura. Diamo il benvenuto.” (sul concerto al Defonija Festival) Muanis Sinanović, Radio Študent

La musica del gruppo si muove lungo le traiettorie di un free jazz aggiornato ai nostri giorni. Maha Karuna significa grande compassione in Pali e Sanscrito, l’antica lingua indiana. “Maha” è grande e “karuna” è la compassione per ogni essere vivente, dal momento che tutti in questo mondo soffrono di molte cause diverse. Cene è sloveno, vive a Lubiana ed è sicuramente uno dei saxofonisti più interessanti della Mitteleuropa. Il loro primo album intitolato Inventum è stato pubblicato da Nuovo Corso Records nell’aprile 2017; il secondo Cd, Life Practice, è uscito per Setola di Maiale nel marzo 2022.

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Ombak Trio

Cene Resnik sax tenore e soprano
Giovanni Maier violoncello
Stefano Giust batteria e percussione

“Giust è batterista raffinato e improvvisatore fantasioso e originale, e in questo nuovo trio è accompagnato da altri due importanti esponenti della free music europea, il sassofonista sloveno Cene Resnik e il contrabbassista (qui alle prese con il violoncello) Giovanni Maier. La musica del trio si muove su traiettorie tipiche della musica improvvisata, con i musicisti impegnati a imbastire un fitto dialogo che addensa la materia sonora fino a farla deflagrare in slanci possenti, per poi abbassare la temperatura in larghi scorci meditativi. L’esplorazione timbrica e ritmica rimangono sempre in primo piano, e la lunga esperienza dei musicisti coinvolti mantiene alta la tensione. Il risultato finale suona come una masterclass sul linguaggio improvvisativo storicizzato, e al tempo stesso una dimostrazione tangibile di come questa musica possa riservare ancora molte sorprese.” Nicola Negri, Centro d’Arte di Padova

“Through Eons To Now, tra i migliori album del 2020.” Nazim Comunale, The New Noise

“Questo trio non ci dà tregua qui. Resnik cede alle esplosioni taglienti, Giust si occupa di rullate ferme e Maier fornisce un’atmosfera altrettanto potente. È anche meraviglioso come il materiale un po’ melodico sia qui messo insieme in un insieme compatto, ma anche sempre più frenetico. La tensione sottocutanea è chiaramente palpabile, soprattutto a causa dei pattern legati al rumore di Giust e Maier.” Ben Taffijn, Draai Om Je Oren + Nieuwe Noten

“Qui c’è il coinvolgimento di Stefano Giust. Vive in Italia da molto tempo, lavora come musicista e dirige l’eccellente etichetta Setola di Maiale. Questa collaborazione è stata avviata da Resnik, di Lubiana che ha studiato al Conservatorio di Klagenfurt, in Austria. È un importante musicista della scena slovena e anche un appassionato praticante di meditazione buddista. Una pratica che influenza la sua musicalità. Maier di Trieste, ha iniziato la sua carriera a metà degli anni ’80, suonando con l’Italian Instabile Orchestra, Marc Ribot, Chris Speed, etc. L’Ombak Trio opera all’interno di una vasta gamma di dinamiche. Timbri e suoni sono asciutti. Ma d’altra parte, c’è tensione e complessità nelle loro improvvisazioni, sempre con un attraente ‘bassista’ in mezzo e Giust che si dimostra ancora una volta un batterista molto flessibile. La performance di Resnik è piena di energia ma allo stesso tempo molto riflessiva e introversa. Molto prezioso.” Dolf Mulder, Vital Weekly

“Il trio è un connubio sperimentato in più sedute al Dobialab. Dall’aspetto ontologicamente immerso nelle traiettorie di tensione e rilassamento tipiche della free improvisation, vedono Giust scolpire timbri e ritmiche al pari di un calzolaio, Resnik lavorare a formule di sviluppo che sono ricche della sintassi jazzistica e Maier che agisce da detonatore armonico, con tante manovre sul violoncello. È musica che sortisce l’effetto di maturare pensieri trasversali, qualcosa che è profondamente internato nell’animo dei musicisti, una pelle quasi noir, spingendoci a pensare che ci sia una logica deleuziana dentro. È musica valida per ogni tempo, perché forte di un pensiero politico che si rende conto che qualsiasi cambiamento dei tempi, non cambia la nostra natura di uomini tendenzialmente portati verso la libertà e verso il miglioramento dell’instabile, risaputa e precaria condizione della vita.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Un trio liberamente ispirato (peraltro attraverso strutture ben palpabili) è quello che firma Through Eons to Now, ovvero l’Ombak Trio, somma del sassofonista sloveno Cene Resnik e dei friulani Giovanni Maier, violoncello, e Stefano Giust, batteria. Sei, qui, i brani, come si diceva formalmente più definiti, con un suono di gruppo felicemente calibrato.” Alberto Bazzurro, L’Isola Della Musica Italiana

“Questa interpretazione della forma sassofono-corde-percussioni conferma la sua continua adattabilità, specialmente se applicata alla musica libera. In queste sessioni viene visualizzata un’intensità da batticuore profonda, con colori e sensibilità. Ogni set ha molto da offrire.” Ken Waxman, Jazz Word

“Sei registrazioni piuttosto misurate ma abbastanza tese di questo trio. Come con tanta improvvisazione del jazz contemporaneo, il trio trae chiaramente ispirazione da fonti esterne, ma li serve bene perché combinano melodia con toni profondi in un ambiente che è aperto e permette a quasi ogni nota di respirare. Come sempre con tale musica, sono sicuro che sarebbe stata meravigliosa anche dal vivo.” RJ, Progress Report

“Fin dall’inizio, l’ascolto reciproco profondo e intenso è imposto all’ascoltatore. È al centro del loro progetto collettivo: suonare e costruire musica in modo che ciascuno dei tre musicisti sia contemporaneamente nella cabina di pilotaggio. Come ascoltatore, ci concentriamo sulle forme e sui suoni di questa musica improvvisata e sull’originalità individuale di questo o quel musicista. Tuttavia, è anche un’opera collettiva in cui i musicisti si migliorano reciprocamente in una sensibile solidarietà uditiva, evitando di creare assoli che possano equivalere a farsi avanti a spese degli altri. Questa è una delle qualità di questo Ombak Trio. In questa configurazione di più dialoghi, c’è un equilibrio sempre rinnovato che transita sottilmente man mano che le sequenze successive si evolvono. Non ce ne sono due uguali e tutti i musicisti sembrano seguire il proprio percorso mostrando empatia con gli altri due. In breve, questi artisti hanno il potere di esprimere molte cose con molta sottigliezza ed energia quanto la semplicità. Sfruttano le loro rispettive capacità con l’immaginazione assumendo e sublimando la somma dei loro talenti con fervore, empatia e questo innato senso di improvvisazione collettiva che trasporta gli ascoltatori in un altro mondo.” Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-improvandsounds

“Through Eons To Now è una sessione in trio, per sassofono tenore e soprano (Cene Resnik, di Lubiana), violoncello (Giovanni Maier di Trieste) e la batteria di Giust. La musica qui è energica e avanzata, sempre attenta al ruolo formativo dello spazio, ma allo stesso tempo disposta a riempire quello spazio con un suono compatto.” Daniel Barbiero, Avant Music News

“È con colori e toni autunnali che l’Ombak Trio copre questo Through Eons to Now, un interessante album di debutto. La musica che suona il trio è free jazz puro e duro, liberamente improvvisato e con tracce di prove letterarie mai del tutto definite, forse per il fatto che gran parte dell’indagine sonora di questo album è dedicata a momenti transitori: se in un secondo sentiamo vibrazioni malinconiche, nel seguito siamo colpiti da divagazioni ribelli ed energiche che ci allontanano da ogni stato contemplativo, incitandoci all’azione e alla scoperta. Queste alternanze tra diversi stati d’animo sono ulteriormente esacerbate dal tocco di ciascuno degli elementi: Resnik si assume come l’elemento melodico del gruppo, con un suono caldo ed espressivo, con un vocabolario profondamente jazzistico, ma che sa toccare anche terreni non idiomatici; il violoncello di Maier è freddo, impersonale, a volte suonato ad arco, a volte con le dita, spesso suona a contrabbasso; la percussione di Giust è curiosa per l’irrequietezza che esprime, tradotta in una ricerca esaustiva del necessario accompagnamento, essendo sempre presente, ma spesso assumendo un ruolo secondario, trascurando il protagonismo e creando atmosfere e ambienti che permettano ai suoi colleghi di dipingere sul paesaggio creato. In questa storia di incontri e disallineamenti, Giust produce da suoni metallici e penetranti, puntuali e spaziali, a divagazioni tempestose degli elementi secchi della batteria, sporadicamente ‘umidificati’ da certi colpi sui bordi dei tamburi. Il ruolo di Giust trascende quello di puro mantenimento del rigore ritmico del trio. Sono, infatti, ancora più frequenti i momenti in cui il percussionista lascia andare questo “obbligo” metronomico per diventare un elemento attivo del dialogo, comunicando attraverso il timbro di ciascuno degli elementi percussivi del suo kit. Through Eons to Now è un disco che si distingue per l’ostinazione quasi sovversiva di Resnik di non abbandonarsi alla pura sperimentazione, caratteristica che dà a questo album un tocco speciale, rendendolo un eccellente ibrido che esplora sia paesaggi mappati che regioni impraticabili. Altrettanto meritevoli e degni di considerazione sono i servizi forniti da Giust e Maier, molto più esplorativi e idiomaticamente distaccati, formando un tessuto sperimentale ampio e ben realizzato. Trasportandoci da un’eternità incommensurabile al presente, ecco un Cd che cade come un guanto in questo periodo autunnale.” João Morado, Beats for Peeps

“L’internazionale Ombak Trio con Resnik, Maier, Giust, ha presentato il culmine della serata con il loro debutto sloveno. Hanno suonato una musica sottile e chiara che davvero non poteva essere guidata nell’incertezza. Frasi e riferimenti, uno spazio del suono intrappolato in un’eleganza magistrale ed è sia un organismo che un individuo, e Maier in prima linea in un tale ambiente agisce come un’unità incredibilmente discreta, attorno alla quale può scorrere tutta la vita.” (sul concerto al Cerkno Festival 2020) Žiga Pucelj, SIGIC

“La musica vibrante della prima serata del festival mi è subito arrivata all’orecchio, ma si è anche persa rapidamente quando sul palco è apparso l’Ombak Trio, che è stata la formazione meno definibile della serata, ma forse anche in esplorazione. Resnik al sassofono tenore e soprano, Maier al violoncello e Giust alla batteria si sono esibiti dal vivo per la prima volta, ma hanno fornito uno spettacolo fruttuoso e penetrante, una versione del quale si trova nel loro album di debutto Through Eons to Now pubblicato quest’anno.” (sul concerto al Cerkno Festival 2020) Brigita Gračner e Marko Doles, Radio Študent

“È questa la prima esibizione del trio italo-sloveno, in cui suonano, insieme al nostro sassofonista Cene Resnik, il violoncellista Giovanni Maier e il batterista Stefano Giust. Le melodie sinuose del sassofonista, meditative e talvolta romantiche, vestivano il violoncellista e il batterista dai ritmi sfuggenti e Resnik ha dimostrato ancora una volta di essere uno dei migliori musicisti jazz sloveni, con la sua musica concentrata, ma allo stesso tempo alleggerita dalle convenzioni.” (sul concerto al Cerkno Festival 2020) Mario Batelić, Primorskival

“I musicisti hanno presentato una sofisticata combinazione di linee sonore occasionalmente atonali, persino cacofoniche e tuttavia armoniose, ma non troppo saturate, vicine al free jazz più calmo.” (sul concerto al Cerkno Festival 2020) Darinko Kores Jacks, Večer

Trio dedito alla libera improvvisazione, contraddistinto da una attenta ricerca timbrica ricca e peculiare, per una musica profonda e in costante movimento. Hanno due album all’attivo, il Cd “Through Eons To Now” (Setola di Maiale, 2020) e l’LP più versione digitale “Look For The Difference (Live at 25th Jazz Cerkno Festival)” su Cerkno Jazz Records, 2021.

 
 
Jars

Henry Marić clarinetto basso, clarinetto, chitarra elettrica preparata
Boris Janje contrabbasso
Stefano Giust batteria e percussione

“Abbiamo qui un meta-dialogo raffinato, sottile e dettagliato con i suoni più piccoli. Il trio lascia l’attrazione polarizzata tipica del free jazz con fiato-basso-batteria per aprirsi completamente ai campi sonori e alla ricerca del suono. C’è perfino un leggero ritmo binario lento (batterista eccellente e autentico). Henry Marić suona in modo riservato, persino ieratico, con allusioni e suggerimenti nel registro basso alternando armoniche, come se fosse un pittore. Il contrabbassista suona al centro, lasciando spazio ai colpi multidirezionali e molto fini di Stefano Giust. Avendo scelto la via opposta all’espressionismo e ai climi di tensione e mucchi di energia, questo trio apre la porta all’espressività del minimo movimento, alla dinamica del contatto con la punta delle dita, al rallentatore, d ‘un motivo melodico a malapena accennato, in una sorta di sogno incompiuto il cui sviluppo è sospeso. In questo gioco collettivo molto contenuto, il clarinetto eccelle nel sottrarre note non necessarie per lasciarci alcuni segnali espressivi e ponderati, contro i quali l’inventiva del batterista fa miracoli: il suo stile è incredibile e i suoi interventi sono sempre appropriati anche quando suona appena due campane e un piccolo piatto, mentre il clarinetto suggerisce l’approccio di un picchio preoccupato e l’arco del contrabbasso il ramo su cui l’uccello si evolve… musica poetica. Sappiamo che numerosi fans adorano la frenesia energetica del trio libero, ma dobbiamo anche ascoltare nella direzione diametralmente opposta e immergerci nella calma e nella pienezza.” Jean-Michel Van Schouwburg, Orynx-improvandsounds

“In 50 minutes they give shape to 10 improvisations of a breakable and delicate nature. Space and colouring are important aspects of their music. Moving within a limited range of dynamics, they go into details, performing in a very relaxed and pleasant mode. There is a prominent role for the drummer who excels in inventive patterns with attractive playing by Janje on double bass. The job is finished by Marić who plays very to the point short motives on his clarinet in a modest and punctuated way. His performance has a strong presence. As a trio, they perform very concentrated and together, delivering a very warm and excellent set. A highlight for me this year so far.” Dolf Mulder, Vital Weekly

“Nel trio Jars si tocca con mano il senso cinetico dell’improvvisazione libera. È uno straordinario attraversamento psicologico della free improvisation. Un modo che svela le capacità sensoriali dei musicisti: Giust, con un set di batteria e dei cimbali, costruisce sfondi incredibilmente veritieri e affascinanti, grazie ad una velocissima gestione dei movimenti; Marić al clarinetto (anche basso) mette in moto una politica del soffio estemporaneo ed usa le preparazioni su una chitarra elettrica; Janje usa alternativamente tecniche di pizzicato o di utilizzo dell’arco per favorire l’idea della movimentazione; in definitiva, c’è un mondo di suoni e rumori che si proietta a scenari speciali dell’immaginazione, di quelli che farebbero piacere a Lorenz o Pavlov o a coloro che si occupano delle neuroscienze e dei filtri applicabili al flusso dei pensieri. Significa sognare paradossi ad occhi aperti, mentre si sta in giardino durante una giornata estiva.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Jars rende la musica sottile, Marić al clarinetto basso sembra essere interessato principalmente all’essenza del suono, attraverso le sue note allungate. Contrasta magnificamente con il gioco ritmico di Janje e Giust. Suoni terrosi e crudi sono prodotti dal trio, in un contesto speciale. Questo è certamente il caso di Stara Kuina, un pezzo che si distingue soprattutto per le belle sonorità del clarinetto e per il modo in cui Giust usa la sua batteria. Il suono meravigliosamente sobrio e delicato di Kinesko Ljeto costituisce il finale perfetto per questo bellissimo album.” Ben Taffijn, Draai Om Je Oren + Nieuwe Noten

“Trio con radici in Italia, Croazia e Slovenia, incentrato sulla musica liberamente improvvisata e il free jazz. La musica di questo album di debutto dei Jars è difficile da definire in termini di forma, ma forse più facile da definire in termini di contenuto. Il primo spesso ci sfugge tra le dita delle mani, come acqua che cerchiamo di afferrare per capire. Dopotutto, siamo di fronte a una materia altamente astratta. Il trio si dedica principalmente alla creazione di paesaggi e immagini opache, nonché alla rappresentazione sonora di pensieri e sensazioni. Marić è un clarinettista profondo che usa spesso note lunghe che creano un’atmosfera prolungata e contemplativa. Janje ha un fraseggio atomico, preferisce lo staccato al legato, quasi sempre suona il contrabbasso con le dita, usa l’arco solo per interventi specifici. Giust è un percussionista molto versatile ed espressivo, sempre presente, e che ha la straordinaria capacità di essere immensamente comunicativo senza, però, diventare invadente. Poiché la fisica di Albert Einstein e la scrittura di Antonin Artaud sono servite da ispirazione per la bellissima copertina del disco, caratterizziamo questo disco come un metodo anarchico di esplorazione sonora… scientifico o no, è molto bello da ascoltare.” João Morado, Beats for Peeps

“Su Jars, Giust è affiancato dal contrabbassista sloveno Boris Janje e dal clarinettista croato Henry Marić. È una sessione improvvisata in cui lo spazio gioca un ruolo altamente udibile. Giust fornisce una struttura flessibile di colore e si sposta persino su ritmi definiti, ma elastici, su un paio di tracce. Sebbene contenga musica prevalentemente espressiva e melodica, l’album ha dei momenti di puro timbro e senza tonalità. Marić ha una voce fortemente lirica e con il raddoppio sulla chitarra elettrica preparata crea anche suoni graffianti e appuntiti. Janje, che tende a favorire le linee di basso staccato ed economiche, durante i passaggi più astratti è in grado di aprire il suo suono con tecniche pizzicate e arco estese.” Daniel Barbiero, Avant Music News

Musica liberamente improvvisata – un trio italo croato sloveno – con molta poesia, imprevedibilità, dettagli e timbri; nonostante sia musica difficile, è piacevole ascoltarla. Disponibile su Setola di Maiale il Cd registrato a marzo 2019 a Pontiera (Istria, Croazia) e mixato da Nadan Rojnić.

 
 
Magimc

Edoardo Marraffa sax tenore e sopranino
Thollem McDonas pianoforte
Stefano Giust batteria e percussione

“Abbiamo qui il meraviglioso pianista improvvisatore Thollem McDonas accompagnato da Edoardo Marraffa e Stefano Giust – due dei migliori giovani musicisti improvvisatori italiani -. Marraffa è un musicista di grande talento. Giust non è da meno. Intraprendente senza fine, usa ogni superficie del suo drumkit per generare suoni che sono in qualche modo inattesi pur essendo completamente in concerto con l’umore prevalente del momento. La cosa sorprendente è il senso di connessione tra questi musicisti che è profondo e palpabile. È qualcosa che può richiedere anni per svilupparsi, ma in questo caso sembra svilupparsi istantaneamente.” Dave Wayne, All About Jazz USA

“Succede così tanto qui che è inutile cercare di tenerne traccia. Libero, diretto, esplosivo e avventuroso. Thollem McDonas, Stefano Giust e Edoardo Marraffa creano qui alcune scintille vere, con toni e suoni che volano liberi e selvaggi, ci sono momenti che sembrano essere ovunque. Sicuramente consigliato.” (Free) Jazz Alchemist

“Musicisti eccezionali, alta concentrazione, notevole interplay! Un trio sublime.” Downtown Music Gallery

“Ogni musicista ha una forte personalità e il contrasto di stili e voci strumentali costituiscono uno degli aspetti più interessanti di questo album, un’istantanea sonora sia di un gruppo di lavoro che di un incontro musicale estemporaneo, che mostra tutte le sottigliezze, le difficoltà e le soluzioni brillanti del difficile compito — quello dell’ascolto e del dialogo reciproco, nonostante le differenze.” (sul secondo album) Nicola Negri, Free Jazz Blog

“Perfetto esempio di libera improvvisazione contemporanea da parte di tre musicisti con il pieno controllo dei loro strumenti. Una musica iconoclasta con un obbiettivo.” Jazz&Tzaz

“Costruiscono e decostruiscono gli equilibri sul filo teso. La spontaneità non esclude la riflessione ed è questo approccio paradossale che eccita i sensi. Dopo aver scolpito nella pietra, lucidano le sfaccettature… Mirabolanti!” (sul primo album) Jean-Michel Van Schouwburg, Improjazz/Orynx-improvandsounds

“La vita di questo potente e intenso trio continua il suo corso: fabbisogno energetico, espressione potente. Energia spesso sovrumana, radicali free jazz, a volte “demolizione” del pianoforte, composizioni di abbandono o temi per l’improvvisazione totale. È un trio che persiste e segna. Un pianista eccezionale, un sassofonista tenore con una singolarità vera e propria, un potente batterista con idee originali, la coesione e il senso dell’improvvisazione. La loro musica ha guadagnato una gamma più ampia rispetto al loro ottimo album uscito per Amirani e convince senza mezzi termini. Questa combinazione strumentale permette scambi muscolari e varietà e impressiona il pubblico quando i musicisti hanno energia da vendere e il talento di queste tre individualità. Ci si sente rinascere attraverso la volontà di improvvisare, sfuggendo alla routine, cambiando le traiettorie, alternando il potere di espressione spontanea e la riflessione sul momento mentre si suona, raccontando storie vere… Ci sono passaggi in cui l’ascolto è profondo e palpabile… una sorta di esperienza, una vera e propria avventura.” (sul secondo album) Jean-Michel Van Schouwburg, Improjazz/Orynx-improvandsounds

“Una notevole intesa fra tre musicisti impegnati all’unisono a confrontarsi in contesti espressivi che rifuggono i clichè e le convenzioni, alla costante ricerca di soluzioni estreme per generare il flusso ipnotico di note ed energia che sprigiona dai loro strumenti. Un lavoro complesso, un dedalo di suggestioni che attira al suo centro e poi rimanda ai margini, senza mai rivelare l’uscita.” Blow Up

“Una non convenzionale configurazione, fin dalla swing era e ancora più abbagliante con Cecil Taylor nel 1960, il trio sax-pianoforte-batteria fornisce il giusto equilibrio di melodia, ritmo e arricchimento per una performance appagante. Il disco di Magimc offre variazioni di alta qualità sulla metodologia sassofono-pianoforte-batteria.” Ken Waxman, Jazz Word

“Un trio d’eccezione” Sounds Behind The Corner

“Il panorama della musica improvvisata in Europa è da sempre molto vivace e il nostro Paese può vantare numerosi improvvisatori eccellenti. Nell’Emilia il batterista pordenonese Stefano Giust ha accampato la sua etichetta Setola di Maiale, oggi punto di riferimento irrinunciabile della free music nazionale e oltre. In “Area Sismica” lo troviamo scambiarsi scintille sonore con le ance di Marraffa e i tasti di McDonas. Sei tracce che toccano punte di vera e propria ferocia. Cd interamente improvvisato ma non per questo non vi si può godere di una forma seppur angosciata, perturbante, di energia insonne. Da ascoltare ad orecchie aperte.” Flavio Massarutto, Alias/Il Manifesto

“La seconda registrazione del trio conferma quel fremito che colpisce l’ascoltatore di fronte ad un set del genere; rende visibile quel potenziale di creatività che è insito nei dna dei migliori musicisti. Ancora un set di altissimo livello.” (sul secondo album) Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Quando due personaggi noti del mondo free e sperimentale italiano, come Marraffa e Giust, incontrano un altro improvvisatore americano come Thollem McDonas al piano, succede che il suono si frammenta in tante piccole parti che mostrano al mondo come il caos in fondo abbia un suo ordine e dimensione sonora ben precisa.” Gianmaria Aprile, Sodapop

“Un set liberamente improvvisato, molto vivace, potente. Veloci interazioni e una creatività che non cede mai.” François Couture, Monsieur Delire

“Magimc vede Marraffa, il cui approccio condensa stimoli desunti tanto da Ayler e Sanders quanto da Brötzmann ed Evan Parker, e Giust, con un drumming frastagliato che richiama sia Sunny Murray e Milford Graves sia Paul Lytton e Tony Oxley, unirsi al pianista statunitense Thollem McDonas. Quest’ultimo ricopre il ruolo di ago della bilancia tra le tensioni create dai colleghi, principalmente in virtù delle esperienze nelle avanguardie di estrazione jazzistica (con William Parker, Vinny Golia e Nels Cline) e accademica, per esempio con Pauline Oliveros e Stefano Scodanibbio.” Boddi, Musica Jazz

“Musicisti di vaglia, Marraffa con le sue note macerate e sofferte, ed il pianista con degli accenti precisi, mentre il batterista introduce elementi di sorpresa con i suoi ritmi improbabili. La musica acquista di imprevedibilità, ed è proprio godibile per il suo mettere insieme con perizia suoni nuovi e della tradizione del free, alla ricerca di un qualcosa che appare per la via a sorprendere un pò tutti. L’avanguardia italiana ha trovato un trio sorprendente.” Vittorio Lo Conte, Music Zoom

Il background di questo trio italo-statunitense è ricco e variegato, eppure è difficile definire la loro musica come eclettica perché gli elementi che entrano in gioco nella relazione compositiva, i materiali più disparati che ne costituiscono la base, sono elaborati in profondità e fusi in un linguaggio originale. Il cambiamento e la trasformazione sono oggetto d’indagine di questo gruppo: le relazioni armoniche, i contrappunti melodici e ritmici viaggiano in percorsi sempre diversi, a volte evolvendosi lentamente, a volte sottoposti a improvvise accelerazioni; pur mantenendo una certa indipendenza e complessità che consente un viaggio musicale a più dimensioni, i musicisti del trio prediligono una unità di intenti ed una coesione che li porta ad una intensa e trasparente comunicatività espressiva. Ciascun membro del trio collabora con moltissimi musicisti internazionali, producendo una considerevole mole concertistica e discografica. Il loro primo album “Polishing the Mirror” è pubblicato da Amirani Records nel 2012, il secondo è un concerto registrato all’Area Sismica di Forlì ed ha lo stesso titolo, per Setola di Maiale (2015). Nel 2019 si sono ritrovati per due concerti a Milano e Bologna.

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Camusi

Patrizia Oliva voce ed elettronica
Stefano Giust batteria e percussione

“Camusi è lavoro di una bellezza infinita. Potrebbero aver creato un divario fra l’ora ed il poi. Emoziona. Camusi possiede un dono prezioso: la visione.” Sands-zine

“Il duo italiano Camusi ha totalmente bruciato e demolito l’immobile e sciolto i volti e le menti di tutti i presenti al loro concerto per Hanoi New Music Festival 2013.” Hung Tran, The Onion Cellar




“È questo duo la sorpresa più stimolante del 2007. Patrizia Oliva in continui controcanti, Giust che stende un tappeto ritmico che ha dello straordinario. Un sottile filo della follia. Una musica che avvolge mondi lontani, che moderna sirena incanta gli ignari naviganti.” Stefano Pifferi, SentireAscoltare


“Il live è sfolgorante: i ritmi frammentati di Giust mutano con la naturalezza di un battito d’ali; è free jazz, è impro radicale, è addirittura trip hop, ogni pezzo porta la sua impronta, indelebile. Non è da meno la Madame per eccellenza: la sua voce trasuda passione e veemenza ad ogni passo, è un graffio, una carezza, uno schiaffo ed un urlo al contempo. Tutto questo trascinano il suono dei Camusi nel baratro dell’anima, per poi risalire al cielo. Una forma di improvvisazione che riesce nel miracolo di non apparire raffazzonata o capitata per caso. Da non perdere, se li avvistate in concerto.” Succo Acido

“Camusi, un’idea sperimentale di gran valore.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali



“Progetto tra i più stimolanti di quella epifania vivente che è Stefano Giust, Camusi è un duo di improvvisazione atipicamente jazz. La Camusica nasce dall’elettronica rumorista e dalla ricerca sulla voce di Patrizia Oliva e l’enorme mole percussiva larvatamente jazz di Giust. La voce della prima si spezza, si rifrange, si autofagocita. La capacità di adattamento a contesti sempre più diversi di Giust mostra una compiutezza ormai pressoché perfetta nel saper disegnare paesaggi sonori personali. A risalire dal profondo dell’animo dei due protagonisti sono memorie di una atavica bellezza manifestate sotto forme musicali cangianti.” SentireAscoltare


“Una delle più interessanti rassegne underground romane si riapre sotto il segno del genio. Quello del batterista Stefano Giust, percussionista di incredibile talento e dal groove dannatamente negroide. In coppia con Patrizia Oliva da’ vita a Camusi: il gruppo ha un tiro devastante, un qualcosa che odora di new thing, bagnato però nelle torbide acque dell’improvvisazione europea. Convivono con tecniche estese ed effettistica di rigore, si flettono in continuazione, sul punto di spezzarsi ti colpiscono in pieno volto. Senza chance. È un trionfo di muscoli ed ugola, un ping pong esoterico, una prova di forza, una palestra per la mente. La duttilità del duo è comunque un discorso di telepatia, di prontezza nel trasportare gli stimoli cerebrali agli ’arti’. Una performance di grande magnetismo ed impatto.” Luca Collepiccolo, Blow Up

Il progetto si concretizza attraverso la pratica della libera improvvisazione: in essa emerge l’estetica dei due musicisti che viene messa a confronto l’una con l’altra in una sommatoria di idee e sensibilità al limite con la musica contemporanea, il jazz d’avanguardia, l’elettroacustica e altro ancora. La voce, l’elettronica e la batteria hanno pari dignità, sono messe sullo stesso piano in una sorta di democrazia strumentale; duettano, ma anche si possono muovere su piani differenti, arricchendo la musica di sovvrapposizioni non scontate e stimolanti. Hanno pubblicato un album per Setola di Maiale nel 2007, tuttavia il duo ha deciso di non pubblicare altri dischi. Camusi è infatti un progetto che si identifica con l’atto performativo del concerto e non con la produzione discografica. Hanno suonato in Italia, Regno Unito, Olanda, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Austria, Croazia e Vietnam.

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Haiku

Paolo Pascolo flauto traverso, flauto basso, sax tenore ed elettronica
Stefano Giust batteria e percussione

“Haiku è una forma d’arte ingannevolmente semplice. Composto da una manciata di sillabe, tre righe e un linguaggio chiaramente diretto, queste poesie quando hanno successo implicano un intero macrocosmo nell’osservazione microcosmica dei dettagli. Allo stesso modo, il duo improvvisatore Haiku prende il più piccolo formato di ensemble e lo sfrutta per improvvisare un ricco mondo di colori, texture e linee sonore. A Giust sono attribuiti batteria e piatti, ma in pratica è un polistrumentista nel modo in cui si avvicina alle varie componenti del suo set. Ogni singolo tamburo viene trattato come uno strumento distinto a sé stante, con la sua voce unica da suonare da sola o in coro con le altre voci. Giust suona per il timbro e lo spazio piuttosto che per il polso e lascia una buona dose di spazio aperto affinché ogni suo elemento risuoni al massimo. La registrazione mette l’ascoltatore proprio nel mezzo di questi suoni in cui si possono effettivamente sentire le vibrazioni, specialmente del grancassa. Su flauto o sassofono, Pascolo suona con fluidità, le sue linee si snodano attorno a percorsi tematici – cascate discendenti di note spostate su chiavi implicite diverse, toni allungati che fluttuano lentamente verso l’alto – che si aggregano nel corso di un’improvvisazione in archi simili a canzoni. Sul flauto basso Pascolo sviluppa una linea grave appropriate allo strumento; i suoi contributi all’elettronica servono come intermezzi astratti tra i voli acustici.” Daniel Barbiero, Avant Music News

“Pascolo è qui apprezzabile anche al sax tenore, oltre che ai flauti (suo strumento primario), mentre Giust è instancabile cesellatore di polifonie percussive, che a tratti sono capaci di sviluppare delle fantastiche similitudini (ad un certo punto si ascolta una sorta di meccanica che sembra rifarsi alle riparazioni di un bottegaio di scarpe). C’è una malleabilità incredibile in questa musica, una qualità che i due musicisti riescono a comunicare all’ascolto grazie alle provvidenze dell’improvvisazione libera, rifondata sull’agilità, sul volteggio, sulla sorpresa del momento.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Questo è un lavoro di due esperti improvvisatori italiani. Nella loro collaborazione Giust e Pascolo sembrano quasi un ensemble completo. Il loro ricco vocabolario e tecnica rendono i loro dialoghi pieni di dettagli riguardanti dinamica, colore e timbro. E oltre tutto questo Cd è un’ottima opportunità per godersi lo stile di suonare di Giust. Suona in modo molto naturale e organico, usando molti oggetti a percussione in tutti i modi possibili. Pascolo suona in modo simile, vale a dire, con movimenti e gesti fluenti. Questo rende le loro trame molto coerenti. Spero di ascoltarne di più un giorno.” Dolf Mulder, Vital Weekly

Haiku è un duo elettroacustico che prende nome dal cane defunto di Paolo Pascolo, nome che caratterizza solo in parte la musica del duo. Musica d’improvvisazione che ben si adatta alla sonorizzazione di film e soprattutto all’action painting, come accade con l’artista Arianna Ellero nel progetto Pieno e Vuoto (Voll und Leer). Disponibile il Cd pubblicato su Setola di Maiale il 31 dicembre 2019.

 
 
Neu Musik Projekt

Guido Mazzon tromba, flicorno, pianoforte, sintetizzatore, armonica, giocattoli, carillon, crackle box e voce
Marta Sacchi clarinetti, melodica, carillon, flauto barocco, giocattoli, pianoforte, laptop, campane a mano e voce
Stefano Giust batteria e percussione

“Al TAI fest [Milano 2016], un altro bel trio: il Neu Musik Project con l’autorevole Guido Mazzon, la versatile Marta Sacchi e lo spumeggiante Stefano Giust il cui drumming rimarrà come una delle cose notevoli della musica creativa di questi anni.” Michele Coralli

“Mazzon alla tromba ha una voce sicura e un fraseggio agile, alla ricerca di nuove sonorità e atmosfere con un sapiente uso delle mute, i clarinetti della Sacchi lo integra perfettamente con un tono ben controllato ed eleganti invenzioni melodiche, mentre Giust sperimenta costantemente nuovi suoni, suggerendo il ritmo più che affermandolo, o negandolo del tutto. La gamma di stili e umori esplorato in questo disco è sorprendente, va ben al di là delle etichette jazz o di improvvisazione, rivelando un complesso, a volte sconcertante ma sempre affascinante mondo musicale, esplorato con umorismo e passione.” Nicola Negri, Free Jazz Blog

“Ecco un Cd importante che segna il ritorno al disco del trombettista Guido Mazzon, esponente storico degli innovatori musicali che nulla ha perduto del proprio smalto, anzi molto ne ha aggiunto. Gli sono compagni in questa impresa Marta Sacchi e Stefano Giust. L’assenso degli uditori colti non mancherà.” Franco Fayenz

“Neu Musik Projekt ci rapporta del tentativo di raggiungere una dimensione metafisica, tramite uno scampanio corredato di emulazioni sonore, un’azione propedeutica alla comprensione delle “altre vie” che scorrono nell’ascolto: la materia del sentire (dove l’ascolto è l’intendere della musica che rigetta la semplice fruizione fisiologica), la complessità del silenzio (“esso si espande come un vapore ed occupa tutto lo spazio che incontra”), le “relazioni” tra gli improvvisatori (Guido parla di relazioni e rifiuta l’insufficiente valenza dei dialoghi), la grandiosità della partitura visiva (una frontiera didattica imprescindibile per l’esplorazione dell’improvvisazione) sono tutti elementi che tengono in ostaggio una fitta quantità di rapporti dove si mischiano la risonanza, il free jazz, la ricercatezza melodica, il reading letterario, la tecnica astrusa.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

Questo progetto nasce nel 2015 e si concentra su alcuni aspetti delle musica contemporanea e dell’improvvisazione libera, con testi e partiture scritte da Guido Mazzon, esponente storico della prima avanguardia italiana, fondatore del Gruppo Contemporaneo (1969) e dell’Italian Instabile Orchestra. Ha suonato tra gli altri con il gotha del jazz d’avanguardia come Anthony Braxton, Cecil Taylor, Andrew Cyrille, Lester Bowie, Andrea Centazzo e la Globe Unity di Alexander von Schlippenbach. Marta Sacchi è primo clarinetto presso l’Orchestra del Conservatorio G. Nicolini (2003-2005), primo clarinetto presso l’Orchestra Soncino (2000-2003) e primo clarinetto presso l’Orchestra Camerata de Bardi (2002-2003). Marta ha anche un master in musica da camera e in composizione, nonché una laurea in musicoterapia. Vive tra Pavia e Londra. Il loro album, registrato in studio, esce nel dicembre 2015 per Setola di Maiale.

 
 
Ipersensity

Daniele Pagliero computer ed elettronica
Stefano Giust percussioni elettroniche

“Elettronica radicale, gelida e dislessica, ossessiva, una polverizzazione di segnali e frammenti in continua evoluzione. Il gioco in questione tende ad eludere le facili fascinazioni, i riferimenti si emulsionano uno nell’altro e poi si annullano vicendevolmente. Un gioco di pesanti sollecitazioni neurali. Una visione digitale che scivola inesorabilmente verso il baratro primitivo umano. Autistico e ritorto su se stesso; eppure vivo e stimolante. Un suono che dimostra un passato e lascia un segno nell’istante del presente. Poi diviene presagio futuro.” Marco Carcasi, Sands-zine

“Strepitoso concerto di Ipersensity con il mio amico Daniele Pagliero e Stefano Giust la scorsa notte (7 aprile 2019) a Sublime Grove #8, Unione Culturale Franco Antonicelli a Torino: concettualmente, musicalmente e visivamente sbalorditivo, sono rimasto davvero colpito, complimenti a loro.” Fabrizio Modonese Palumbo

Ipersensity nasce nel 2001 ed è un duo di musica elettronica improvvisata, fortemente influenzato dall’estetica minimal techno e dalla musica aleatoria. La musica del duo è sempre organizzata secondo questa modalità: Pagliero invia, tramite collegamenti midi, suoni ad otto o più pads elettronici, che io suono utilizzando le bacchette (o anche i pedali). In questo modo le scelte operate da un musicista si riflettevano sull’operatività dell’altro. In pratica il suono di ciascun pad (altezza, timbro, volume, attacco) può cambiare/alterare in qualsiasi momento e analogamente anche il lavoro di percussione, secondo la sensibilità/necessità tipica in un duo di improvvisazione libera. C’è uno strettissimo e originale rapporto tra sviluppo sonoro e movimento ritmico: solitamente dipendono da un singolo musicista che può controllare entrambi sul proprio strumento, qui invece sono sottoposti a due esecutori distinti, ovvero Daniele che controlla lo sviluppo sonoro ed io che controllo il movimento ritmico e strutturale. Abbiamo pubblicato due album con Setola di Maiale, nel 2002 e 2006 ed un terzo disco uscirà nel 2019.

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TAI No-Orchestra

Roberto Masotti visual, live video e improWYSIWYG
Gianluca Lo Presti visual, live video e improWYSIWYG
Pat Moonchy voce, persephone, zengarten, taimachine, waterphone e mobius
Patrizia Oliva voce, elettronica, oggetti, nastro magnetico
Giancarlo Locatelli clarinetti, bells e oggetti
Mario Arcari oboe, sax soprano, clarinetto e shanaij
Massimo Falascone sax alto, baritono e sopranino, crackle box, tugombuto, iPad e live electronics
Claudio Lugo sax soprano curvo, sax alto e oggetti
Riccardo Luppi flauto traverso, sax soprano e tenore
Edoardo Ricci sax alto, soprano e sopranino, clarinetto basso, circuit bending, oggetti e live electronics
Stefano Bartolini sax tenore e baritono, oggetti e live electronics
Roberto Gatti aka Robin Neko crackle box e testi
Guido Mazzon tramba, cornetta e pocket trumpet
Luca Calabrese tromba e live electronics
Alberto Mandarini tromba e flugelhorn
Matteo Pennese cornetta, pocket trumpet e live electronics
Martin Mayes corno francese, alphorn e conchiglia
Angelo Contini trombone, didgeridoo e oggetti
Alberto Braida pianoforte
Alberto Tacchini pianoforte e live electronics
Claudio Lodati chitarre e live electronics
Alessandra Novaga chitarre e oggetti
Eugenio Sanna chitarra amplificata e oggetti
Paolo Botti viola, stroh violin, banjo, bowed psaltery, er-hu, cornetta e dobro
Walter Prati violoncello
Roberto Del Piano basso elettrico
Silvia Bolognesi contrabbasso
Filippo Monico batteria e percussione
Stefano Giust batteria e percussione

ospiti speciali:
Alessandro Bosetti voce ed elettronica
Carlo Prevosti filmmaker documentale (Insolito Cinema)
Fabio Volpi visual, live video / AU+ e sintetizzatore
Rosarita Crisafi visual, live video / AU+ e saxofoni
Antonello Cassinotti voce
Fabio Mina flauto traverso
Eloisa Manera violino
Roberto Zorzi chitarra elettrica
Annalisa Pascai Saiu voce e oggetti
Michele Anelli contrabbasso e basso elettrico
Andrea Grossi contrabbasso
Bob Marsh violino, violoncello, voce, electronics e sonic suits
Matthias Boss violino
Pasquale ‘Lino’ Liguori batteria
Marcello Magliocchi batteria e percussione
Ferdinando Faraò batteria e percussione
Cristiano Calcagnile batteria e percussione
Andrea Centazzo batteria e percussione

“Fantastica serata conclusiva dello straordinario festival impro TAI Fest #2. Si comincia con il trio composto da Roberto del Piano, storico bassista del trio di Gaetano Liguori, che apre le danze insieme al chitarrista Claudio Lodati e allo scozzese Martin Mayes al corno. Iniziano minimal per poi cadere dentro una falla di suoni rinvigoriti dalla chitarra effettata di Lodati, le funamboliche peripezie di Roberto e i giochi armonici di Mayes che ad un certo punto riesce a far suonare palloncini gonfiandoli e sgonfiandoli con destrezza. Dopo una breve pausa è il turno di un quartetto improbabile capitanato dall’ottimo batterista Stefano Giust, uno dei migliori in circolazione, dal grandissimo trombone di Angelo Contini, il contrabbasso del giovanissimo Andrea Grossi e il grande Mario Arcari già collaboratore di De Andrè: sembra una palla musicale stramba e magica quella che si rimbalzano questi quattro straordinari improvvisatori tra ritmi zoppi, strombonate irripetibili, precisi assolo con archetto e melodie di oboe classicheggianti. Rapido cambio di palco. Il duo Patrizia Oliva (voce ed elettronica) e Alessandra Novaga (chitarra preparata) è pronto. Un momento mistico e catartico di grande suggestione. Il finale è da brividi: i sax di Massimo Falascone e la voce di Pat Moonchy duettano in un mantra senza limiti di tempo nè spazio, accompagnati dai video del collettivo AU da una parte, mentre dall’altra dai video di improWYSIWIG condotti da Gianluca Lo Presti e dal fotografo storico della ECM, Roberto Masotti. Quando la musica si placa, dopo uno short bis, il pubblico scoppia in un fragoroso applauso e mi accorgo che tutto il locale è commosso e paralizzato da tanta magia e da tanto incanto…” Fabrizio Testa, Blow Up

Terra Australis Incognita. Questo progetto nasce da una idea di Roberto Masotti, Massimo Falascone e Roberto Del Piano. Non proprio una orchestra, ma un aggregato di musicisti disponibili sotto questo marchio per concerti e rassegne, in organici di volta in volta diversi e che trova la sua forza nella diversità di questo formidabile incrocio di persone e di talenti. TAI è molteplicità di pensiero e di poesia, dispersione di visualità, creatività e impegno, con una forte connotazione visuale, tramite proiezioni e luci e si muove soprattutto sul terreno dell’improvvisazione, anche se la scrittura può far parte del percorso.

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A solo play

Stefano Giust batteria, piatti, percussione

“Auspicabilmente, Giust dimostra che una stimolante funzione della batteria può esistere all’interno dei parametri di una musica totalmente improvvisata: combinando singoli suoni, del cerchio, del riverbero del tamburo e dei colpi sui piatti mobili, il rumore e le sue aperture, potrebbe bruciare qualsiasi sessione di jazz contemporaneo.” Ken Waxman, Jazz Word, Music Works

“Giust è in pratica un polistrumentista nel modo in cui si avvicina ai vari componenti del suo set. Ogni singolo tamburo viene trattato come uno strumento distinto, a sé stante, con la sua voce unica da suonare da sola o in coro con le altre voci. Giust suona per il timbro e lo spazio piuttosto che per il polso e lascia una buona dose di spazio aperto affinché ogni suo elemento risuoni al massimo.” Daniel Barbiero, Avant Music News

Il solo è una pratica musicale molto interessante per un musicista, in particolare per un improvvisatore. Non c’è la pluralità e l’attrito dell’ensemble ed anche, può essere una forte esperienza sonica e visiva per lo spettatore. Il mio interesse verso questa pratica nasce intorno ai primi anni ’90 e nel ’94, un mio doppio album ha un titolo piuttosto esaustivo: “Ripercuotere” (SM040/050). In seguito, per molti anni, il mio coinvolgimento verso il solo si è dimostrato secondario al mio interesse per la musica d’insieme, dal duo in su, ciò nonostante non ho mai smesso di coltivarlo dal vivo. Derek Bailey diceva che nel solo non ci sono le sorprese e le alchimie che possono intercorrere tra più esecutori: è vero, perchè ad emergere è la mera estetica musicale personale, senza interferenze, senza addizioni, la musica che ne risulta ha perciò un maggior grado di controllo. Nel solo di un batterista improvvisatore, tante sono le influenze musicali ed anche extra-musicali che entrano in gioco, variabili tra loro in percentuali peculiari per ogni musicista. Certamente sono fondamentali le esperienze fatte nel campo della musica a percussione nell’ambito della musica classica contemporanea del Novecento – su tutti Varèse, Scelsi, Stockhausen, Xenakis, Cage, Feldman e Bartók (sono tutti musicisti che hanno liberato la percussione dalla sottomissione agli altri strumenti; si pensi alla Sonata per due pianoforti e percussioni di Bartók del 1942, dove è scritto in partitura che i due pianisti e i due percussionisti che eseguiranno il brano, sono da intendersi sullo stesso livello: è stata questa una novità importante nella musica classica). Altrettanto fondamentali sono, e non potrebbe essere diversamente, le esperienze fatte nel batterismo ascrivibile al jazz più avventuroso, con musicisti come, in ordine sparso, Sunny Murray, Andrew Cyrille, Ed Blackwell, Charles Moffett, Barry Altschul, Jerome Cooper, Milford Graves, Steve McCall, Max Roach, Jo Jones, Rashied Ali, J.C. Moses, Dennis Charles, Elvin Jones, Dannie Richmond, Tony Williams, Oliver Johnson, Marco Cristofolini, Tony Rusconi, Toshi Tsuchitori, Shoji Hano e, più sperimentali, come Paul Lovens, Roger Turner, David Moss, Han Bennink, Paul Lytton, Max Neuhaus, Vladimir Tarasov, Tony Oxley, Sven-Åke Johansson, Günter Sommer, Eddie Prévost, John Stevens, Fritz Hauser, Pierre Favre, Sabu Toyozumi, Gerry Hemingway, Andrea Centazzo, Marcello Magliocchi, Filippo Monico. Molti di questi musicisti sono tra i primi, per ragioni anagrafiche, ad avere interiorizzato, personalizzato e perfino ampliato, l’esplorazione radicale della percussione già perseguita in tante partiture del novecento, la prima delle quali è il pezzo per sola percussione intitolato “Ionisation” di Edgard Varèse, scritto tra il 1929 e il 1931. La ricerca dei compositori si fa via via sempre più complessa ed anche divergente e riguarda ovviamente ogni aspetto: il timbro, le possibilità propriamente ritmiche spinte agli eccessi, la gestualità, lo sviluppo delle tecniche estese. La batteria è ampliabile musicalmente, la si può preparare (in maniera estemporanea o anche permanente), così come John Cage ci ha insegnato con il suo pianoforte preparato, una idea evidentemente adattabile a qualsiasi strumento musicale. I tamburi cambiano le proprie caratteristiche con piatti ed oggetti appoggiati sopra e non di meno, questi suonano differentemente per il fatto di essere appoggiati sui tamburi. Il primo compositore ad aver scritto in partitura l’azione di percuotere un piatto appoggiato ad un tamburo è stato Giacinto Scelsi, il quale ha ampliato moltissimo le tecniche esecutive e le combinazioni timbriche di percussioni e metallofoni; così anche Karlheinz Stockhausen, in particolare in “Mikrophonie 1″, dove un grande tamtam è sollecitato con una ricca varietà di oggetti del vivere quotidiano, in vetro, cartone, metallo, legno, gomma e plastica, più due microfoni. Certamente i compositori – e qui vanno aggiunti certamente Thelonious Monk, Charles Mingus, Ornette Coleman, Cecil Taylor ed Anthony Braxton – hanno aperto nuove strade, nuove concezioni su cosa si possa fare con la percussione e queste idee hanno positivamente arricchito il batterismo contemporaneo che si esprime, nel mio contesto, con la praticata improvvisativa. La batteria si è affrancata dall’essere strumento di accompagnamento, relegato alla pura scansione ritmica. Anche il tempo si è liberato e come diceva Paul Bley, così come il ritmo cardiaco non è costante, anche il tempo in musica deve poter fare altrettanto, nessuna briglia alle accellerazioni, ai rallentamenti, il tempo è libero di seguire il flusso ovunque vada e di esprimerlo, di cavalcarlo; insisteva Cecil Taylor: “l’idea della batteria-metronomo è morta e sepolta”. Gli elementi di una batteria sono insieme una grande sorgente di suoni e vibrazioni diverse, sono già una piccola orchestra, con i suoi tamburi e piatti e la personale selezione di battenti, piccoli metallofoni e altri oggetti percussivi che insieme preparano il drum kit. Timbri e intensità diverse si combinano insieme e generano rumori, ritmi, poliritmie, suoni, con dinamiche, volumi e masse differenti: la responsabilità del musicista sta proprio nel saper gestire tutto questo e nel raccontare con questi materiali una storia musicale coerente. C’è un pensiero e un sentire interessanti, considerare cioè la batteria nel suo insieme non come uno strumento a percussione, ma come un altro strumento, in modo analogo a quanto diceva Glenn Gould riferendosi al pianoforte: lui pensava al suo strumento come ad un quartetto d’archi o un organo o un clavicembalo e se ne può facilmente intuire il perchè. Del resto sosteneva che lo strumento non si suona con le dita, ma con il cervello. Alla fine, la cosa più importante per un musicista è l’orecchio interno. Sono tutte queste considerazioni a creare le coordinate verso le quali sono proiettato e in cui mi muovo. Voglio anche aggiungere che ogni influenza arricchisce in quanto esperienza, per questo anche i gusti musicali giovanili sono essenziali nel delineare un percorso futuro ma già in essere, di (auto)apprendimento ed (auto)educazione musicale. Da ragazzino mi piacevano John Bonham e Ian Paice, le drum machine dei Kraftwerk, poi da adolescente alcuni batteristi del post punk, dell’hardcore, e poi Chris Cutler, Charles Hayward, Giulio Capiozzo degli Area, ma anche le ritmiche di Autechre, Aphex Twin, etc. Altri mondi interessanti sono certamente le musiche extra occidentali, seppure qui non possa definirmi molto esperto: mi piace molto la musica Apala della Nigeria, il Gamelan dell’Indonesia, il Ca Tru vietnamita, il Gondang Sabangunan del Nord Sumatra, la musica dell’India da nord a sud (come non citare Zakir Hussain). La musica delle percussioni sembra essere materia infinita, e lo è davvero: accompagna da sempre la nostra lunga storia di esseri umani, ci muove qualcosa dentro. Vibrano le pelli ed i metallofoni e noi con essi, è fisica e metafisica. La musica del solo dipende anche dalle circostanze della vita in quel momento, così come dall’acustica del luogo e dalle energie presenti, e sa adattarsi perchè la dinamica può esprimersi in fortissimissimo (fffff) oppure in pianissimissimo (ppppp) e spostarsi lungo le gradazioni dell’intensità dinamica. È il cammino, la ricerca, il sentimento e l’istinto a muovere il cuore di ogni suono.

 
 
Collaborazioni recenti

 
ImprovvisoFantasia
“Grandi Numeri” di Sylvano Bussotti
(prima esecuzione mondiale in concerto)

Giuseppe Giuliano pianoforte
Giancarlo Schiaffini trombone
Manuela Galizia voce
Corrado Rojac fisarmonica
Johnny Lapio tromba
Gabriel Bechini clarinetto e clarinetto basso
Federico Scalas chitarra elettrica
Stefano Giust batteria e percussione

ImprovvisoFantasia è un ensemble fondato e guidato dal pianista e compositore Giuseppe Giuliano ed è focalizzato all’interpretazione delle pagine più creative delle avanguardie storiche e della musica classica contemporanea, come per esempio composizioni di John Cage, Cornelius Cardew, Claudio Ambrosini o Sylvano Bussotti: partiture in cui è richiesta una partecipazione attiva del solista al quale è lasciata ampia libertà interpretativa. Di Bussotti l’ensemble suona, seppure con formazioni diverse, due prime assolute di “Grandi Numeri”: come prima registrazione in studio per un disco e come prima esecuzione in concerto. La formazione è aperta e variabile e include grandissimi solisti, come Rohan De Saram (è stato per trenta anni il violoncellista dello storico Arditti Quartet, un vero emplema della musica classica contemporanea e del virtuosismo strumentistico), la pianista Francesca Gemmo e il percussionista Sergio Armaroli.
Il 18 novembre 2023 ho fatto parte dell’ensemble nella formazione riportata sopra, interpretando in concerto in prima assoluta “Grandi Numeri” di Sylvano Bussotti, tra i suoi ultimi lavori, del 2010, che comprende anche la batteria, nell’ambito di Musica Fragile (Nella Fugacità del Gesto Musicale) della 37ma edizione del festival Trieste Prima – Incontri Internazionali con la Musica Contemporanea, presso l’Auditorium del Museo Revoltella di Trieste.
Giuseppe Giuliano è nato a Roma, attualmente lavora in tutto il mondo come compositore, pianista, improvvisatore e proiezionista del suono. Le composizioni di Giuseppe sono state eseguite in prima assoluta in luoghi straordinari, come il Centre Georges Pompidou, Ircam, Internationale Ferienkurse Darmstadt, Teatro alla Scala Milano, Teatro La Fenice Venezia, Autumn Festival Moscow Rachmaninoff Hall, Akiyoshidai Festival Japan, Berkeley University San Francisco, Biennale di Venezia, Melbourne University, Elektron Festival Stockholm, etc. Come pianista Giuseppe suona il repertorio contemporaneo e il free jazz. Come proiezionista del suono ha eseguito opere fondamentali di Karlheinz Stockhausen, Luigi Nono e Iannis Xenakis. Tra i suoi insegnamenti si segnalano: Juilliard School New York, Internationale Ferienkurse Darmstadt, Universität der Künste Berlin, UDK Wien, Guildhall School of Music and Drama London, P. I. Ciajkovskij Conservatory Moscow, Irino Foundation Tokyo, Conservatorio Superior de Madrid etc. Estremamente importanti per la sua formazione musicale sono stati gli stretti contatti con Franco Evangelisti, Luigi Nono, Karlheinz Stockhausen e John Cage.

 
 
Pieno e Vuoto (Voll und Leer)

Arianna Ellero azione pittorica

Paolo Pascolo flauto, flauto basso, sax tenore ed elettronica
Stefano Giust batteria e percussione

L’uso di pigmenti naturali e colori grezzi si affianca ad un processo musicale di ricerca che comprende il suono naturale degli strumenti a fiato, della percussione e dell’elettronica. In quest’occasione il focus del lavoro è il passaggio da elementi antichi come il colore puro, il respiro delle ance e il suono delle pelli e dei piatti, per una trasformazione e un’attualizzazione della materia durante il tempo reale della performance. La proposta è una live performance in cui si mettono in rapporto i corrispettivi linguaggi espressivi – musica e azione pittorica – in una fusione creativa fra le arti senza una dovuta forma e senza vincolo di ragione. Come John Cage ha ricordato, le varie forme espressive dell’arte hanno ciascuna vita propria, non viste come reciproche didascalie bensì come manifestazioni indipendenti che grazie ai processi aleatori, possono essere messe in relazione tra loro direttamente dal pubblico, in una stimolante e creativa comunione visiva e sonora.

 
 
Spiritual Unity

Fred Casadei contrabbasso

Marco Colonna clarinetto basso

Stefano Giust batteria e percussione

“Fin dal titolo [Spiritual Unity] vien dichiarata l’essenza di intima comunione non tanto espressiva quanto di sensibilità artistica tra chi partecipa. L’individalità si trasforma in collettività, in netto contrasto con gli egocentrismi e i protagonismi che dominano molti lavori. La registrazione conferma un’intesa immediata, l’improvvisazione si snoda in un interplay fluido ed evocativo.” Monica Carretta, Musica Jazz

Progetto aperto attivo dal 2016 e guidato da Fred Casadei. Abbiamo fatto il primo tour come trio insieme a Riccardo Marogna (clarinetto basso, sax tenore) e come quartetto con Paolo Pascolo (flauto, sax alto) e Gabriele Cancelli (tromba). L’anno seguente, il tour ha coinvolto Marco Colonna, ancora una volta in un trio. Ma ci sono altri musicisti che Fred coinvolge, soprattutto dell’area romana. L’ensemble suona composizioni originali con ampie possibilità di improvvisazione collettiva e solista. Nel 2017 sono stati pubblicati da Setola di Maiale, tre album usciti contemporaneamente, con le stesse composizioni interpretate con tre diversi ensemble: Love (trio con Marco Colonna e me), Sky (duo con Francesco Manfrè al violoncello) e Sun (duo con Luca Venitucci alla fisarmonica). Il concerto del trio con Colonna e me, registrato nel gennaio del 2018 ad Area Sismica (Forlì), è stato trasmesso integralmente da Rai Radio Tre / Radio3 Suite.

 
 
Noma

Alessandra Laganà voce
Tommaso Marletta chitarra elettrica e sintetizzatore
Dominik Gawara basso elettrico
Gianni Gebbia sax soprano
Kei Yoshida tromba
Fabrizio Modonese Palumbo chitarra elettrica e viola
Paul Beauchamp sega musicale
Patrizia Oliva voce, elettronica e flauto cinese
Igor Jovanovic sintetizzatore
Boris Blace trombone
Gabrio Bevilacqua contrabbasso
Stefano Giorgi arte visuale
Andrés Arce Maldonado regia
Stefano Giust batteria e percussione

Noma è un progetto guidato da Alessandra Laganà e Tommaso Marletta. Nasce dalla battaglia di Alessandra contro il cancro, aiutata dall’arte e dalla musica, vicenda che ha prodotto un disco, un libro di prossima pubblicazione ed un film documentario autobiografico con la regia di Andrés Arce Maldonado, vincitore del premio di riconoscimento per il valore umanitario dell’opera all’Accolade Global Film Competition 2017, California, USA. Il disco è un album di canzoni che nascono musicalmente da processi sperimentali, caratterizzate dalla voce di Alessandra. La musica è stata composta, suonata e registrata durante il viaggio nomade di Alessandra e Tommaso, una ricerca artistica tra linguaggi contemporanei, composizioni tratte dalla libera improvvisazione e dalla canzone d’autore. Per la registrazione non c’è stata nessuna pianificazione, nessuno spartito, nessuna prova: solidarietà e fiducia sono state l’unica partitura di questa creazione musicale. Per la produzione artistica è stata utilizzata una modalità da “cronisti d’assalto”, ciò ha consentito di catturare la verità dell’istante e valorizzare i musicisti, rispettando le peculiarità e trasformando le diversità in unicità.

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Compagnia blucinQue ‘Il Volo/La Vertigine di Giulietta’

Caterina Mochi Sismondi regia e coreografia
Francesca Netto, Caterina Mochi Sismondi adattamento drammaturgico
Jonnathan Angel Rodriguez, Elisa Mutto, Rio Ballerani, Andrea Paola Martínez, Lukas Vaca Medina, Federico Ceragioli, Camilo Jimenez acrobati, danzatori
Francesca Netto, Marta Rizzi, attori
Patrizia Oliva, Stefano Giust musica
Max Vesco luci – con la supervisione di Lucio Diana
Monica Oliviero audio
blucinQue / Fondazione Cirko Vertigo produzione

“Vertigini di Giulietta, la performance fra teatro e circo è un successo. Applausi a scena aperta per la compagnia blucinQue al Comunale. Nonostante la compresenza sabato sera ad Adria del carnevale by night e di un concerto in cattedrale, lo spettacolo di teatro, danza e arti circensi Vertigini di Giulietta ha attirato al Teatro Comunale una buona fetta di pubblico. Ed è stato un successo. Per molti una scoperta, l’impatto con qualcosa di nuovo. Forse c’è voluto qualche momento per entrare in un’atmosfera inusuale, insieme corporea ed eterea, fisica e onirica, ma poi sono cominciati gli applausi a scena aperta, sottolineatura come l’applauso conclusivo di uno spettacolo riuscito. Portato in scena dalla compagnia blucinQue, regia e coreografia di Caterina Mochi Sismondi, “Vertigini di Giulietta”, realizzato a partire del testo di Shakespeare e dalla musica di Prokofiev, fa parte di un percorso cominciato con gli studi Relation#1, Relation#2 e “Il Volo di Giulietta”. “La performance è volo, perdita di equilibrio, continua oscillazione, tensione e spiazzamento amoroso, una costante ricerca del movimento tra teatrodanza e discipline circensi”, dice una presentazione dello spettacolo. E così è stato, promessa mantenuta.” Cristiano Draghi, Rovigo in Diretta

Romeo e Giulietta di Shakespeare è l’occasione in questo spettacolo per indagare la relazione e la perdita dei sensi, portando il lavoro in una dimensione onirico-sonora. La Vertigine è intesa qui come amorosa: attraverso le tecniche circensi, e con continua ricerca sulle tematiche dello spiazzamento, del disequilibrio e anche del conflitto e dell’attrazione, l’allestimento si basa su una drammaturgia originale. A marzo 2016 è ripartito questo studio – un lavoro già intrapreso dalla compagnia con La Vertigine di Giulietta/Il Balcone per il network In Situ, nel 2014 – rinnovando l’attenzione sugli elementi musicali, in relazione al corpo e all’attrezzo circense: il suono rimane parte integrante del lavoro di ricerca, caratteristica anche delle ultime creazioni della compagnia, come VertigoSuite# (premio NeXt 2015 che ha debuttato al Piccolo Teatro di Milano) e We273 (lavoro su John Cage – per il quale ho fatto, alla Cascade di Bourg St Andéol in Francia, da tutor per la compagnia, sulla vita e l’opera di Cage – selezionato per il Festival d’AvignonOff e che ha debuttato a Civitanova Danza), così come la commistione tra teatrodanza e circo. Con Il Volo di Giulietta si presenta per la prima volta la relazione tra le parti e i personaggi attraverso un viaggio in chiave onirica dell’opera: l’utilizzo di elementi sonori e di tecniche circensi sono parte integrante della coreografia, la musica elettronica di Patrizia Oliva, gli adattamenti dal famoso balletto del 1935 di Sergej Prokof’ev e del testo come partitura sonora si fondono con la batteria e gli strumenti a percussione di Stefano Giust, con le voci e il movimento dei performer, che portano in scena tecniche quali il cerchio, i tessuti, l’acrobatica e la danza.

 
 
Pierpaolo Capovilla ‘Obtorto Collo Tour’

Pierpaolo Capovilla voce e basso elettrico
Guglielmo Pagnozzi sax alto, clarinetto e tastiera
Kole Laca tastiere ed elettronica
Alberto N. A. Turra chitarra elettrica
Francesco Lobina basso elettrico
Stefano Giust batteria e percussione

“Arriva un momento, nella vita di un artista, in cui senti il bisogno di sbarazzarti del tuo passato, e tentare strade nuove su cui inerpicarsi. L’incontro artistico e professionale con il maestro Zennaro, con il quale ho composto gran parte del disco, è stato imprescindibile. Zennaro viene dalla coreografia contemporanea: è uno dei compositori di fiducia di Carolyn Carlson. Viene dunque da un mondo molto lontano dal rock: la sua sensibilità compositiva è caratterizzata da un approccio fortemente sintetico, “povero” se vogliamo, attraverso il quale abbiamo dato vita ad un repertorio avulso dal rock in quanto tale, e molto vicino alla canzone francese. Il contributo di Taketo Gohara e dei ben venti splendidi musicisti che sono venuti a suonare queste canzoni è stato fondamentale. Senza di loro, questo disco non avrebbe mai visto la luce. Ecco: Obtorto Collo è certamente il mio primo lavoro solista, ma è stato fatto, pensato ed attualizzato da un gruppo di musicisti, da un “cervello collettivo”. E vorrei dire la stessa cosa della band con cui suono questo repertorio dal vivo. Settimane di prove per riarrangiare le canzoni, senza tradirne lo spirito. Un lavoraccio faticoso, ma avvincente. Alberto Turra ha portato il suo talento chitarristico, declinandolo con un’eleganza d’altri tempi, Stefano Giust, che viene dall’avanguardia, suona la batteria come un fantasma, la sfiora, la accarezza e la percuote come nessuno in Italia. Kole Laca e Checco Lobina, rispettivamente alle tastiere e al basso, sono musicisti di grande esperienza e di notevole spessore. Infine Guglielmo Pagnozzi, al sax alto… Che arrangiatore! E quale talento! Perdonami questa agiografia… Incomincio a lasciarmi rapire dall’entusiasmo anch’io!” Pierpaolo Capovilla, da una intervista per Urban Week

“Complessità ed eleganza a Villa Ada. Un Pierpaolo Capovilla inedito nel repertorio e nell’atteggiamento che sa stupire il suo pubblico rapito da musica e parole, scosso da una band eccezionale. Sul palco con il cantante Kole Laca “alle diavolerie elettroniche”, già tastierista del Teatro degli Orrori, sempre prezioso in ogni contributo; Alberto Turra alla chitarra elettrica, fondamentali le sue distorsioni allucinate; Francesco Lobina al basso, direttamente preso in prestito dal mondo del blues e del jazz; Stefano Giust alla batteria e alle percussioni, pronto a guidare i pezzi più classici e a dare spettacolo nei momenti più frenetici e Guglielmo Pagnozzi, sintetizzatore e sax alto, che al momento giusto sa dominare il palco con fascino magnetico. Tutti musicisti di primo ordine che giocano evidentemente un ruolo fondamentale, sta soprattutto a loro l’estemporanea ricostruzione delle difficili atmosfere di “Obtorto Collo”, è merito loro quell’improvvisazione senza incertezze che si avverte proprio nella sua capacità di seguire e rincorrere l’interpretazione di Capovilla, svincolandola da tempi prestabiliti e dandole così modo di esprimersi al meglio attraverso brevi pause e silenzi prolungati. In tutto ciò Capovilla rimane al centro della scena, protagonista nel dettare i tempi ma anche intelligente nel cogliere i momenti in cui farsi da parte in favore della band. Nel repertorio suonato non mancano due poesie di Pasolini (“Ballata delle madri”) e Majakovskij (“Lilicka! Invece di una lettera”), un pezzo degli One Dimensional Man (“A better man”) e due chicche dal repertorio del Teatro degli Orrori (“Io ti aspetto” e “Vivere e morire a Treviso”), quelle che non trovano spazio nelle esibizioni della band e che vengono accolte da un pubblico meravigliato ed emozionato. Dopo un’ora e mezza circa di musica, la band saluta un pubblico felicemente sconvolto da un concerto ricco e sentito, in cui Capovilla è stato in grado di far convergere ed aggiungere qualcosa alle varie anime della sua figura artistica. Impossibile comunque mascherare l’attaccamento all’ultimo lavoro, l’emozione nel vederlo compreso e riconosciuto dai presenti, apprezzato come un disco coraggioso merita, soddisfatto è invece il pubblico dopo una sua ricostruzione perfetta, intima e raffinata, investita di una carica emotiva difficile da dimenticare.” Zai.net

“Il live è quello di uno dei cantautori più veri ed intriganti del panorama musicale Italiano. Si spengono i riflettori e sul palco (di Villa Ada) inizia a prendere forma un sestetto di musicisti che da lì a poco avrebbe dato vita a Obtorto Collo. Quindici interpretazioni durante le quali l’artista non si risparmia e regala note che toccano le corde del cuore e lasciano un‘impronta indelebile. Intime, dolci e dolorose. Lo show musicale è di pregevole fattura e la presenza scenica di Capovilla cattura. Per lui ogni canzone diventa un espediente letterario. Capovilla mette in musica ognuno di noi presente nel parterre. Nel finale, magistrale l’esecuzione di Lilicka.” Qube Music

“Grande serata quella passata ieri sera al Circolo Magnolia di Segrate. I testi taglienti e la musica intensa, resa grazie ad una band d’eccellenza, rendono il pubblico completamente assorto e affascinato dal live e dall’interpretazione che Capovilla da alle parole delle sue canzoni. Durante tutto il live si parla di temi delicati, come la violenza sulle donne in “Quando“, di morti di Stato in “82 ore“, che tratta la storia di Francesco Mastrogiovanni, morto dopo 82 ore di maltrattamenti (TSO) presso una clinica psichiatrica.” Dafen Project

“Il concerto di Pierpaolo Capovilla andato in scena al TPO di Bologna lascia in mano, a chi ha avuto la fortuna di essere presente, qualche bella certezza su questo suo “Obtorto Collo Tour”. Precipitatevi al prossimo concerto e godetevelo tutto. Sì, perché l’energia che arriva dal palco è impressionante; Pierpaolo canta, recita, racconta, si appassiona, si diverte, suona, pensa. E il pubblico con lui. Si solleva un’ovazione, naturalmente diretta anche ai musicisti che lo accompagnano, una vera forza. Se il disco vi ha lasciati perplessi, un live di questo tour cancellerà ogni dubbio sul primo lavoro solista di Capovilla.” Outune

“C’è un moto disarmonico che, partendo dal titolo Obtorto Collo, attraversa per intero l’ultimo lavoro in studio di Pierpaolo Capovilla. C’è una complessità irrisolta dentro ai brani che l’ensemble di musicisti porta in scena (al Magnolia) in uno dei soliti freddi mercoledì dell’hinterland di Milano. Come la società che cerca di descrivere, la musica di Pierpaolo appare, nella sua resa dal vivo, una creatura (volutamente) sgangherata che si trascina seguendo, per l’appunto, un moto complesso e disarmonico. Gli artisti sul palco incarnano questa complessa disarmonia nella fisicità dei loro corpi, nella esperta gestualità dei movimenti da cui derivano le sonorità che, forti e precise, sferzano l’aria colmandola di un’impassibile tensione. Atterrisce, per la sua intensa bellezza, il suono del saxofono di Guglielmo Pagnozzi, che si mescola alle dolci e languide note della chitarra di Alberto Turra. Alla batteria, Stefano Giust, che presta al “rock” i suoi snodati polsi da jazzista senza precludersi una digressione nel campo della musica improvvisata, con un solo che inizia accartocciando bicchieri di plastica e termina sfregando i piatti sulle pelli dei tamburi. Francesco Lobina al basso, col suo fare un po’ olandese, e il pizzuto Kole Laca alle tastiere costruiscono un vibrante tappeto di suoni su cui si adagia la voce di Pierpaolo Capovilla che nell’esperienza di anni si è affinata, divenendo sempre più consapevole e intensa. La ricchezza delle contaminazioni musicali dipende dall’immenso background dei musicisti, di grande esperienza. La natura educativa – apparentemente intenzionale – del processo interpretativo, sia dal punto di vista musicale che in termini di critica sociale rimane, a mio avviso, ammirevole e tutt’altro che presuntuosa.” OnDetour

“Undici concerti, due dj-set e migliaia di persone: questo è stato la quarta edizione del festival della Tempesta. La prima sorpresa è marchiata Pierpaolo Capovilla, che esegue Obtorto Collo con piglio convinto, supportato da una band in grado di gettare una luce diversa sul criticato esordio.” Rumore

“Un’ora e mezza di musica e parole che ha raccolto attorno a se (al Magnolia di Milano) un pubblico assorto e attento all’interpretazione dell’artista in un’atmosfera intensa resa tale anche grazie ai grandi musicisti che lo hanno accompagnato. Uno spettacolo coinvolgente e toccante che merita veramente di essere vissuto.” Musica Rock

“Pierpaolo Capovilla ha vinto. Di nuovo. Ho assistito a due date del tour di Obtorto Collo e no, non mi sono annoiata, neanche un secondo. C’è un’eleganza che sorprende. Capovilla è un attore nato: inutile allungarsi sulle sue doti recitative, è bravo, sa come muoversi e fare suo lo spettatore, con quello sguardo penetrante e quella voce un po’ rauca di chi ha fumato troppe sigarette. E se i concerti piacciono non è solo per Pierpaolo, ma anche perchè alle sue spalle ha dei grandi professionisti che rendono tutto meraviglioso. Il pubblico risponde alla grande e molto partecipe.” Le Ringhiere

“Con una band davvero eccezionale, Capovilla sale sul palco dell’Orion di Roma sulle note di “Bucharest” prima di aprire davvero il concerto con la sulfurea “Invitami” e subito, si materializzano gli spazi intimi ed a tratti soffocanti dell’album, le atmosfere allucinate arricchite da timbri e rifiniture precisi. Alla band è affidato il compito di plasmare i brani, di costruire assoli fulminanti e di tendere il filo su cui Capovilla può muoversi sicuro di non cadere, libero di dare sfogo ad ogni sua ispirazione ed iniziativa. Ed in tutto ciò il cantante si diverte da assoluto protagonista, sfodera tutte le sue capacità da artista consumato, attore e musicista, comunica con il pubblico in modo trasparente, senza declamare o provocare, imbraccia il basso per sporcare ulteriormente la cupissima “Come ti vorrei” e dare maggior compattezza a “Dove vai”, si aggira sul palco per la crudele e teatrale “Quando”, si lancia nell’interpretazione da crooner di “Bucharest” e si immerge con straordinaria intensità nelle parole di Majakovskij in “”Lilicka”. Ma sono soprattutto “Vivere e morire a Treviso” e la title track del disco, “Obtorto collo”, a sconvolgere in modi completamente diversi, la prima con la sua dolcezza dolorosa ma non rassegnata, non ha mai trovato spazio nelle esibizione del Teatro e viene ora eseguita in modo ancora più suggestivo grazie alla ricchezza timbrica dello stile del percussionista Stefano Giust; la seconda è rumorosa, pesante come un macigno, impietosa ed alienante ma commuove quando dopo tanta furia e disperazione sfocia nelle note finali. Così è Pierpaolo Capovilla e questo ci dice: che in fondo è una questione di umanità, che dall’angoscia ad una carezza l’unica via è un po’ di preziosa compassione, il sentimento più rivoluzionario contro questi tempi in cui viviamo.” Outsiders

Pierpaolo Capovilla (1968) è ben conosciuto come fondatore e cantante de Il Teatro degli Orrori e di One Dimensional Man, con i quali suona anche il basso elettrico. Parallelamente a questi progetti, è molto attivo con readings musicali su testi di Pier Paolo Pasolini, Vladimir Majakovskij e altri autori. Nel 2012 è stato nominato ‘Uomo dell’Anno’ dal settimanale l’Espresso. Il gruppo che lo accompagna dal vivo è formato da musicisti rodati e brillanti, già coinvolti in molteplici progetti artistici che spaziano attraverso il jazz, il free jazz, il rock, l’afrobeat, l’elettronica, la musica sperimentale, la musica Klezmer, l’improvvisazione radicale, il blues di New Orleans, la composizione per il teatro e per il cinema, il cantautorato. La musica suonata in concerto è tratta dal suo straordinario album di debutto Obtorto Collo, uscito il 27 maggio 2014 per Virgin/La Tempesta/Universal e prodotto da Taketo Gohara. Il tour si avvale della produzione di BPM concerti. Il tecnico luci è Max Klein mentre ai mixer si sono alternati Giulio Ragno Favero, Elvis Graffi e Simo Sant.

 
 
Pierpaolo Capovilla ‘Interiezioni’

Pierpaolo Capovilla regia, voce narrante, sussurri e grida
Paki Zennaro live electronics, chitarra, sintetizzatore, campionamenti
Guglielmo Pagnozzi sax alto, clarinetto, live electronics, percussioni
Angelo Urso contrabbasso
Stefano Giust batteria e percussione

Dalla presentazione ufficiale: “Interiezioni – Duplice rapina poetica e fuga a gambe levate dagli orrori della quotidianità. La follia e il suo doppio. La stigmatizzazione sociale, l’esercizio del potere statuale sul corpo vivo dell’individuo. La follia, intesa come disperato rifiuto del soggetto a conformarsi alle circostanze storiche, sociali e culturali in cui sopravvive.
Da un’idea di Pierpaolo Capovilla, voce del gruppo rock Il Teatro degli Orrori, fra i più noti della scena musicale indipendente, e il maestro Paki Zennaro, compositore sperimentale e storico collaboratore di Carolyn Carlson, nasce “Interiezioni”, uno spettacolo meta-teatrale in bilico fra poesia e sperimentazione musicale.
I testi della rappresentazione sono stati scelti da “Succubi e Supplizi”, di Antonin Artaud, e “Nostra Signora dei Turchi”, di Carmelo Bene. Non una scelta casuale: Bene fu il più grande fautore di quel ‘Teatro della Crudeltà’ di Artaud, che diede vita al suo grande e mai dimenticato ‘teatro di scena’, quello nel quale l’attorializzazione dei contenuti poetici prende il sopravvento sulla semplice e pedissequa recitazione formalistica.
Accompagnati da tre musicisti di indubbio talento, quali Stefano Giust, batterista jazz d’avanguardia di fama internazionale, Gugliemo Pagnozzi, sassofonista dai molteplici interessi artistici, che vanno dal jazz all’afro-beat, dal rock all’avanguardia, e Angelo Urso, virtuoso del contrabbasso, Paki Zennaro (qui con i suoi live elecrtonics, ma anche alla chitarra e ai campionamenti) e Pierpaolo Capovilla proporranno una lettura emozionante e conturbante dei versi di Artaud e Bene, incrociandoli e coniugandoli in un crescendo misterico, dove la “follia” di Antonin Artaud (che nel 1946 scrisse “Succubi e Supplizi” nel manicomio di Rodez, nei giorni di pausa fra un elettroshock e l’altro) si incontra con l’immaginifica “santità” visionaria beniana, così provocatoriamente inscenata in quella scrittura precipitosa e allucinata di “Nostra Signora dei Turchi”, che il Nostro scrisse in pochi giorni ad Otranto, nel 1966.
A cura di Fania Palma ed Enea Garrapa sarà una video installazione alla quale hanno preso parte cittadine e cittadini salentini, che hanno donato il loro volto, ripreso ostinatamente in primissimo piano, che completa e impreziosisce la narrazione poetica.
Un progetto ambizioso, rischioso e un po’ folle, ma proprio per questo vicino allo spirito poetico che animava i due grandi protagonisti del teatro novecentesco, “Interiezioni” è un evento nuovo, originale e inedito nel panorama drammaturgico contemporaneo.
Incrociando il verso doloroso e collerico di Antonin Artaud con l’irriverente e dissacrante ironia di Carmelo Bene, “Interiezioni” ambisce a riscoprire i due autori sotto una luce nuova, contemporanea e sperimentale, arbitraria nella forma ma intimamente coerente con il contenuto poetico, che viene liberato dalla prigionia della pagina scritta, per librarsi nell’evocazione enunciativa. Pierpaolo Capovilla, già protagonista di numerosi altri progetti meta-teatrali, fra i quali “Eresia”, da Majakovskij, e “La Religione del mio Tempo”, di Pier Paolo Pasolini, questa volta volge lo sguardo verso i temi della follia e dell’ideologia psichiatrica, della rivolta e dell’emancipazione dall’insondabile solitudine del singolo di fronte alla forza prevaricatrice e omicidiaria della società moderna, promettendo al pubblico che vorrà assistervi emozioni, batticuori, lacrime e risa. Un evento nel segno della grande poesia del novecento, rivisitata nello spirito della contemporaneità.”

 


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